di Francesca Ricupati - 31 gennaio 2015
Sabato 17 Gennaio si è tenuta, presso l'auditorium del Liceo Santi Savarino, una conferenza in occasione della presentazione del libro "Cento passi ancora" di Salvo Vitale.
La sala ha ospitato adulti e molti studenti, nonostante, come precisato dalla professoressa Dina Provenzano, fosse un Sabato pomeriggio.
In un discorso introduttivo il Dirigente scolastico del Liceo, Chiara Gibilaro, ha presentato l'evento e, dopo aver ringraziato l'autore, ha passato la parola agli altri ospiti.
La professoressa Caterina Brigati ha presentato il libro analizzandone alcuni passaggi, interpretati da un' altra docente dell'istituto: la professoressa Silvana Appresti; il percorso proposto ha permesso agli spettatori di focalizzare l'attenzione sugli stati d'animo del protagonista del libro e sul suo rapporto con il mare, rifugio che spesso rispecchia le sue emozioni.
A fare chiarezza riguardo il processo e il depistaggio che seguirono la morte di Peppino Impastato, è stato l'intervento della dottoressa Franca Imbergamo (Sostituto Procuratore D.N.A.), mentre l'autore del libro, Salvo Vitale, ha incentrato il suo discorso sulla figura dell'amico Peppino e su quella della madre Felicia.
A coordinare i lavori e moderare il dibattito è stato il vicedirettore di "AntimafiaDuemila", Lorenzo Baldo.
L'evento si è concluso con la proiezione di un video, dedicato a Peppino Impastato, che ha ricostruito gli attimi seguenti il suo omicidio, le lotte e le manifestazioni, organizzate dai suoi compagni negli anni successivi alla sua morte.
Di grande stimolo è il titolo del libro: "Cento passi ancora", incoraggiamento per un paese ed una comunità che deve continuare a lottare per sconfiggere la mafia.
Insegnamento che più spesso dovrebbe essere trasmesso agli studenti, speranza che con più frequenza dovrebbe rincuorare i giovani, sicurezza che ogni uomo dovrebbe possedere: il Bene può Ancora vincere il male.
di Caterina Brigati - 31 gennaio 2015
A distanza di trentasette anni dall’omicidio di Peppino Impastato Salvo Vitale pubblica, con la casa editrice Rubettino, “Cento passi ancora”. L’avverbio “ancora”,che modifica il titolo del noto film di Marco Tullio Giordana, indica sia la riluttanza a credere che dopo la sentenza sia tutto finito sia la necessità di un bilancio sulle scelte della propria vita, bilancio che spinge l’autore ad affermare che la vittoria della giustizia costringe a proseguire sulla strada dell’impegno.
Il libro è difficile da inquadrare in un genere letterario specifico perché presenta caratteristiche afferibili a diverse tipologie narrative. “Cento passi ancora” è infatti un prosimetro, mescola cioè prosa e versi, e le parti in prosa non sono solo la ricostruzione dei fatti verificatisi subito dopo l’omicidio di Peppino Impastato (ricostruzione che, come in un saggio corale, compenetra tasselli che richiamano altre storie e altri libri scritti da Salvo o dai suoi compagni) ma sono nel contempo un bilancio sulle scelte di vita, sul proprio impegno politico e sociale ed un epitaffio alle persone, come Felicia, che non ci sono più, ma alla cui forza e al cui coraggio si deve la vittoria della giustizia. La giustizia che ha gridato al mondo che Peppino, dipinto come folle, anarchico, depresso, terrorista è stato barbaramente ucciso perché la sua sensibilità, il suo estro, la sua originalità rappresentavano la volontà di cambiamento e la forza della libertà che non si può imbavagliare e proprio per questo la mafia teme.
Dal punto di vista stilistico il testo è caratterizzato dalla presenza di due registri linguistici, uno secco e asciutto, tipico della ricostruzione storica che analizza la vicenda, l’altro lirico-intimistico che esprime le sensazioni legate a quegli avvenimenti e a quelle scelte e trova un amico fidato nel mare e in un anonimo marinaio di cui si conosce solo il nome di battesimo: Pietro. Il mare è lo specchio in cui riflettersi, l’orizzonte per sognare, la profondità in cui annegare le proprie delusioni, la calma apparente di una personalità sconvolta dalla tempesta. Nei momenti di sconforto anche il mare diventa ostile, chiuso e inaccessibile, perché è la proiezione delle sensazioni, delle angosce, e delle paure dell’autore. Ma il mare rimane sempre un amico fedele che non tradisce. Pietro è invece l’archetipo dell’uomo che, incurante dello scorrere del tempo, che scandisce la vita del protagonista e dei suoi compagni, vive in una dimensione altra la sua esistenza. Pietro è la presenza muta, la bussola che riporta alla realtà quando la coscienza sembra andare alla deriva e non trova più la direzione per tornare al porto.
I due registri linguistici, quello saggistico e quello lirico intimistico si compenetrano in un testo che manifesta la sua originalità nell’alternarsi di ricostruzione di vita sociale, politica e riflessioni ed emozioni che quelle scelte necessariamente impongono e provocano. D’altronde come scrive l’autore, qualunque azione politica impone una scelta ed è come se con questo libro cercasse la spiegazione di quelle scelte. Una spiegazione che diventa possibile solo a distanza di tempo. Per comprendere gli avvenimenti, infatti, bisogna osservarli da lontano e “Cento passi ancora” è un libro che racconta l’omicidio, il depistaggio, le inchieste (ne sono state necessarie tre per istruire il processo contro i responsabili dell’omicidio) attraverso la lente della distanza che ne garantisce l’autenticità. A trentasette anni dall’attentato, Salvo riesce a pennellare gli avvenimenti fedelmente, ricostruendo sensazioni ed emozioni senza l’impeto dell’immediato, proprio come solo grazie alla distanza si riesce a fare. Eppure, nonostante sia trascorso molto tempo vi è il resoconto dettagliato dei sentimenti degli amici di Peppino a poche ore dall’omicidio. C’è la rabbia ma non la rassegnazione. Dal primo istante i suoi compagni sono pervasi dal desiderio di dimostrare la verità. Conoscono Peppino, conoscono il suo modo di fare, sanno che la mafia, attraverso la sua rete di connivenze, sta costruendo una farsa per sminuire le denunce di Peppino. E fra i compagni, ci piace sottolinearlo c’è Gino Scasso, un uomo impegnato nel sociale, coraggioso, controtendenza recentemente scomparso.
Nella ricostruzione storica e sociale l’autore critica la società borghese perbenista, che ha cercato in ogni modo di mistificare la realtà della morte di Peppino per non scardinare un sistema atavico che si fonda su leggi che, sebbene non scritte, sembrano inviolabili.
Inoltre l’autore ricostruisce tutte le sensazioni vissute e si interroga sulle ragioni e i risultati della propria protesta perché ci sono momenti in cui non si crede più nella lotta per i propri ideali. Il mondo, gli uomini e le donne che vivono con noi, sembrano obbedire a leggi diverse dalle nostre. Sembra di procedere controcorrente, in direzione contraria a tutti gli altri e quando non si trova più l’appoggio degli amici o il contrasto con i nemici si rimette in discussione tutto il proprio operato.
Il libro, in ultima analisi, può essere definito un encomio, l’encomio ad un rapporto, quello con Peppino che è difficile da recidere e che trova una sua sublimazione nelle liriche in cui Peppino diventa incarnazione degli ideali di tutto un gruppo che ha creduto nel cambiamento ha lottato e non si è arreso di fronte alla sconfitta ma ha continuato a protestare.
E poi c’è Felicia Bartolotta Impastato, la madre di Peppino; l’immagine che Salvo delinea è quella di una donna straordinaria. Felicia è l’icona della madre, disperata, innamorata, delusa ma mai rassegnata. Dolcissimo e tenero è il rapporto fra Salvo, l’autore e Felicia; Salvo è il legame con il figlio assente, non un legame di sangue, quasi dovuto, ma quello che nasce fra chi si è scelto per condividere un tratto di vita.
Felicia è una donna che ha avuto il coraggio di lottare, gridare la verità ad un mondo che invece si sforzava di non ascoltare, perché è più facile vivere nel falso perbenismo borghese che denunciare e smascherare la menzogna.
Ed il tempo ha dato ragione a Felicia: nel dicembre del 2000 la commissione antimafia è arrivata a Cinisi e ha consegnato alla signora Felicia una relazione nella quale si afferma che nelle indagini sulla morte di Peppino ci sono stati depistaggi, complicità, omissioni e occultamenti di prove. La vittoria della giustizia ha il potere di far rivivere le vittime, di infondere il coraggio di non arrendersi e lottare fino a poter gridare la verità, la verità che l’11 Aprile del 2002 ha condannato all’ergastolo Gaetano per l’omicidio di Peppino Impastato.
Peppino, che non voleva essere un mito, è diventato il simbolo di una lotta al cambiamento, che come sottolinea l’autore non è ancora finita perché la lotta contro la mafia è la pesante eredità che Peppino ci ha lasciato, la terribile responsabilità delle nostre scelte giornaliere.