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tinebra-giovanni-web1di Giuseppe Pipitone - 5 gennaio 2015
Intervista del quotidiano di Ciancio al magistrato che per primo indagò sulla strage di via d’Amelio, credendo alle dichiarazioni del falso pentito Scarantino. Ai giudici del processo Mori Obinu e ai parlamentari del Copasir che volevano interrogarlo, l’ex procuratore di Caltanissetta inviò un certificato medico

Ai giudici che processavano Mario Mori e Mauro Obinu per il mancato arresto di Bernardo Provenzano inviò un certificato medico, spiegando di versare in gravi condizioni di salute e di non potere presentarsi in aula per deporre. Stesso copione ha seguito con i parlamentari del Copasir: certificato medico e audizione rinviata di alcune settimane, quando il comitato per la sicurezza si è addirittura spostato a Catania per interrogarlo. Quando a chiamarlo sono inquirenti e magistrati, l’ex procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra (in foto) ha spesso a portata di mano un certificato medico, che attesta la sua instabile condizione di salute, perfino per rispondere ad alcune semplici domande. Nel 2010, quando a citarlo come teste fu il pm Nino Di Matteo, Tinebra chiese addirittura che la sua audizione davanti al giudice Mario Fontana venisse cancellata.

Quando, invece, ad interpellarlo è il quotidiano La Sicilia di Mario Ciancio Sanfilippo, ecco che le condizioni di salute migliorano di colpo. E davanti al taccuino di un entusiasta Tony Zermo, il magistrato che per primo indagò sulla strage di via d’Amelio è talmente loquace da riempire un’intera pagina del giornale di Ciancio, ancora oggi indagato per concorso esterno a Cosa Nostra dalla procura di Catania, lo stesso ufficio inquirente che Tinebra si era candidato a dirigere nel 2011, rimanendo alla fine alla guida della procura generale etnea. Incarico che, nonostante le instabili condizioni di salute, Tinebra ha ricoperto fino a poche settimane fa, quando è andato in pensione. Ecco quindi che ieri La Sicilia approfitta dell’occasione per mettere in pagina un’esclusiva intervista al magistrato che gestì Vincenzo Scarantino, il falso pentito che con le sue dichiarazioni depistò le indagini sulla strage di via d’Amelio.

Tinebra non ha mai amato le interviste, ma si concede al vostro cronista che trascorse vicino a lui gli anni delle indagini per la strage Falcone e per la strage Borsellino” spiega Zermo, con piglio autocelebrativo. Poi parte subito alla carica sparando una raffica di domande velenosissime. “Tinebra ha avuto una grande carriera, che gli è rimasto alla fine?” chiede il “vostro cronista”. “Ho guardato dentro di me uomo più che magistrato e ho detto di sentirmi a posto con la coscienza per avere fatto fino in fondo il mio dovere” spiega l’intervistato. Poi, dopo una serie di fondamentali note biografiche del giornalista (“Tinebra fuma ancora, anche se limitatamente. Anni addietro mi aveva detto: Devi smettere di fumare, fai come me, ogni giorno dal pacchetto metti via una sigaretta e così nemmeno te ne accorgi. Si vede che ci ha ripensato”), finalmente si entra nel vivo dell’intervista. Borsellino? “Con Paolo eravamo vecchi amici, eravamo in confidenza. Mi disse: senti, vieni presto, ho delle cose da dirti, però non ti seccare, parliamo quando tu sarai investito ufficialmente. Lui era molto rispettoso delle regole. Quella settimana accaddero tante cose: giorno 15 luglio presi possesso della Procura, lui mi disse che l’appuntamento del venerdì doveva saltare perché lui doveva ancora rientrare dalla Germania e stabilimmo che ci saremmo visti il lunedì. La domenica doveva andare a salutare sua madre e quel giorno ci fu la strage in via D’Amelio. In pratica non abbiamo avuto tempo per parlare di niente. Quindi m’è rimasto il dubbio su che cosa mi voleva dire”. Un dubbio comprensibile, dato che lo stesso interrogativo se lo pongono da vent’anni investigatori e magistrati: su cosa indagava Borsellino? Perché è stato assassinato con quelle modalità? Sapeva della Trattativa in corso tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra? E per quale motivo vennero depistate le indagini condotte da Tinebra? “L’idea, l’idea, è quella dell’alta mafia, di altissima mafia, quella delle menti raffinatissime di cui parlava Falcone dopo l’attentato dell’Addaura”, spiega Tinebra nebuloso.

“Cosa possiamo intendere per altissima mafia? Anche quella legata ai gruppi industriali del Nord?” chiede Zermo incalzante. Il magistrato però nicchia: “Non posso dire, perché non ci sono prove”. Zermo, però, non si arrende. “Ma Paolo che ti diceva? Aveva una pista? La pista degli appalti ad esempio?” chiede, mettendo in mostra la sua confidenza con il giudice assassinato in via d’Amelio. “Lui diceva di sì – spiega Tinebra – o comunque si occupava anche degli appalti. D’altra parte la pista era quella: o mafia e appalti, o mafia e politica, o mafia e imprenditoria. O mafia e basta, perché c’è anche questa ipotesi, perché la mafia aveva tale e tanta forza da poter contare sui contatti che voleva, sulle consulenze che le servivano”. Imprenditoria, appalti, politica, ma soprattutto mafia. E basta. E il falso pentito Scarantino? Tinebra mostra pudore: “Non ho mai voluto parlare di questo, né voglio parlarne adesso. Dico solo che sbagli non ne abbiamo fatto, perché ci siamo limitati a prendere atto di quello che dicevano i pentiti e di quello che era stato riscontrato. Le cose senza riscontri finivano nel cestino”. Ma non era Tinebra che, subito dopo il pentimento fasullo del picciotto della Guadagna, diceva di aver seguito “il metodo Falcone ed è arrivata la luce”, sottolineando che “quella di Scarantino è una piena confessione”?

Zermo però considera esaurito l’argomento e passa subito ad un altro scottante argomento: il protocollo Farfalla, e cioè l’accordo top secret tra il Dap e il Sisde di Mori. Il magistrato ne ha mai sentito parlare, dato che era lui all’epoca il direttore del Dap? “Per la verità non ho mai saputo di questo protocollo”, chiarisce subito Tinebra. “Posso solo dire che sono venuti da me dei capi delle strutture investigative, come ad esempio il generale Mori, che mi hanno chiesto un appoggio. E io ho sempre risposto di sì nell’ambito delle regole”. Che appoggio? In che termini? Zermo però non ha tempo, e preferisce evitare una seconda domanda sull’argomento, virando invece su un altro fondamentale interrogativo: “Come ti sei trovato negli ultimi anni da Pg?” A giudicare dai vari certificati medici spediti a tribunali e comitati parlamentari per la sicurezza, non troppo bene.

Tratto da: loraquotidiano.it

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