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campagna-graziella-webdi AMDuemila - 12 dicembre 2014
A 29 anni di distanza riproponiamo un articolo in ricordo di Graziella Campagna, rapita e poi uccisa da Cosa nostra il 12 dicembre 1985

La nostra memoria è ferma alla sua immagine di piccola 17enne, ma oggi Graziella Campagna avrebbe 45 anni se il 12 Dicembre di 28 anni fa la sua breve vita non avesse incrociato la cattiveria della mafia.
Nata a Saponara il 3 luglio 1968, diventa vittima di mafia per un fortuito episodio accaduto alla lavanderia “Regina” di Villafranca Tirrenia, che raggiungeva quotidianamente in pullman per adempiere la mansione di stiratrice.
Tintoria frequentata da ambigui personaggi; l’ingegner Toni Canatta e il geometra Gianni Lombardo che si riveleranno essere due latitanti palermitani, Gerlando Alberti junior (nipote di Gerardo Alberti senior, soprannominato dai Greco “u paccarè” e braccio destro di Pippo Calò) e suo cugino Gianni Sutera, entrambi protetti dal padrino messinese Santo Sfameni.
Gli stessi che 4 giorni prima dell’assassinio, mostrando falsi documenti  ad un posto di blocco, suggeriscono agli attenti militari di rivolgersi al loro amico/comandante dei carabinieri Giardina, riuscendo comunque a fuggire grazie al sopraggiungere di un’auto ad alta velocità.

Nel frattempo il destino di Graziella prepara il suo corso mettendola di fronte ad un’agendina rivelatrice.
Un giorno Alberti/Cannata, portando la sua roba a lavare, lascia sbadatamente documenti compromettenti riguardo la sua vera identità nella tasca di una giacca, così la piccola si ritrova inconsapevolmente, e controvoglia, in un pericoloso gioco di mafia dal peso troppo grande che le sue minute braccine non potranno affrontare.
La ragazza è sorella di Piero, un carabiniere e servitore dello Stato, che in possesso di tali informazioni, avrebbe potuto agire a vantaggio della giustizia contro i due trafficanti di Cosa Nostra, danneggiando gli equilibri mafiosi della provincia di Messina.
Intanto, tre giorni prima della sua sparizione, Graziella confida alla madre la scoperta: “Mamma, lo sai che l’ingegnere Cannata non è lui? E’ un’altra persona”.
Il 12 dicembre 1985, al termine della giornata lavorativa, si dirige come consueto alla fermata dell'autobus ma nell'attesa accade qualcosa e quella sera di pioggia la corriera arriva a Saponara senza di lei. Rapita a tradimento proponendole un passaggio a casa, viene portata a Forte Campone, venendo interrogata e violentata quando ormai sfigurata, 5 colpi di lupara calibro 12 troncano la su vita.
Sua madre, meravigliata dall’insolito ritardo è preoccupata, ma le ricerche non danno i risultati sperati. Qualcuno in paese, forse intenzionalmente, assicura che si tratta di una “fuitina” ma l'ipotesi non regge, difatti, l’unico ad averne interesse sentimentale è con la sua famiglia senza di lei. Dello stesso avviso però, anche il maresciallo Giardina che addirittura si prende un giorno di vacanza.
Due giorni dopo il corpo viene ritrovato a terra, rannicchiato contro un muro, con un braccio alzato in segno di difesa con cinque colpi di arma da fuoco sparati da meno di 2 metri, su viso, spalla, petto, mano e braccio.
L’omicidio per la giovane innocente non termina con la sua morte, il depistaggio sarà protagonista negli anni successivi dove insabbiature e manipolazioni la uccideranno per una seconda volta.
Le indagini, gestite dal maresciallo Giardina e dal suo superiore capitano Fernando Acampora, si riveleranno da subito singolari, mentre le testimonianze della madre riguardo l’episodio della doppia identità di Alberti/Cannata vengono ignorate da magistrati e carabinieri.
Fascicoli del tribunale che si smarriscono; falsi ufficiali di carabinieri che partecipano agli interrogatori e incontri fra testimoni ed altri carabinieri, che si interessano delle perizie balistiche, mentre suo fratello Piero, anch’egli militare, viene rimproverato dal maresciallo per aver svolto indagini autonome e fornite alla polizia.

Il Processo
Soltanto qualche anno dopo, le indagini sono indirizzate sui mafiosi Gerlando Alberti Junior e Gianni Sutera e nonostante la lentezza dei processi, nel 1988 i due vengono rinviati a giudizio ma nel 1990, il giudice Marcello Mondello riterrà debole il movente della doppia identità per mantenere gli imputati in carcere.
Il 7 dicembre 1996 la richiesta accorata di giustizia dei familiari di Graziella spinse il Tribunale di Messina ad occuparsi finalmente del caso, sono quindi, indagati per favoreggiamento  la titolare della tintoria “Regina”, Franca Federico, suo fratello Giuseppe, suo marito Francesco Romano e sua cognata Agata Cannistrà.
L'11 dicembre 2004 vengono giudicati colpevoli e condannati all'ergastolo Alberti e Sutera, mentre Franca e Agata sono condannate a due anni di penitenziario ma il 4 novembre 2006, graziato dal ritardo di consegna della sentenza, il boss palermitano esce nuovamente di prigione.
Il 10 marzo 2008, in ritardo di 5 mesi a causa di un’opinabile “stop” imposto dall’allora ministro della giustizia Clemente Mastella, viene trasmesso in prima visione su Rai Uno il film “La vita rubata”, ispirato sulla storia di Graziella Campagna.
Intanto, il 18 marzo 2008 la Corte d'Assise d'Appello di Messina conferma la condanna all’ergastolo.
Nelle motivazioni depositate, il giudice Michele Galluccio spiega il carcere a vita collegandosi alla borsetta di Graziella mai ritrovata “era proprio il contenuto, supposto ovvero effettivo, della borsetta di Graziella a suscitare l’interesse degli autori dell’omicidio”. Si è trattato di un omicidio di stampo mafioso quindi, si legge nelle motivazioni della sentenza, “consumato con modalità di esecuzione sul posto, la cui unica motivazione risiede nel fatto che la vittima sia stata testimone scomoda di accadimenti che potevano costituire un imminente pericolo per la sopravvivenza del gruppo criminale o di alcuno dei suoi componenti”. I giudici hanno ricostruito con dovizia di particolari l’intera vicenda soffermandosi su depistaggi, ritardi nelle indagini e tentativi corruttivi messi in atto da don Santo Sfameni, per “aggiustare” il processo Campagna.
Il 18 marzo 2009, la Cassazione respinge il ricorso formulato dai due imputati e riconferma l'ergastolo.

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