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cali-gianlucadi Paolo Borrometi - 25 novembre 2014
Gianluca Calì (in foto) è un uomo che oppone la propria resistenza civile ai mafiosi ma ha la sensazione di essere abbandonato dallo Stato. Uno dei tanti, invero.
Eppure Calì, imprenditore palermitano classe 1973, non si è mai arreso e continua – imperterrito – nella sua lotta per una Sicilia migliore.
Tutto nacque quando Calì decise di ritornare in Sicilia per aprire una succursale della sua “Calicar”, concessionaria di auto e si acuì ulteriormente quando acquistò all’asta una villa a Casteldaccia, che apparteneva al “Papa” di cosa nostra, lo “zù” Michele (Michele Greco) e dello storico padrino di Bagheria, Michelangelo (Michele) Aiello.
“La mia volontà era ed è quella di trasformarla in una struttura ricettiva – commenta Gianluca Calì -, che potesse creare un minimo di ricchezza per la nostra terra, dare lavoro e incrementare l’indotto turistico della zona”.
Una villa di 160 metri suddivisa su due piani che non è mai stata confiscata perché era ipotecata ed è quindi passata nelle disponibilità di un istituto di credito che la mise all’asta.

Ed è questo il “dettaglio” significativo della vicenda, poiché l’imprenditore, poco prima di presentare l’offerta, ricevette la visita di alcuni personaggi.
“Mi dissero - racconta Calì – di essere eredi dei precedenti proprietari e mi chiesero di lasciar perdere quella casa”.
Ma Calì non mollò. Non arretrò di un centimetro.
Così si aggiudicò l’abitazione ma la storia si infittisce di misteri, intimidazioni e vergognose zone grigie.
Gianluca, nel frattempo, affida la ristrutturazione della villa al fratello Ingegnere (Alessandro), lo stesso che qualche anno prima, come presidente dell’ordine degli ingegneri, aveva firmato la radiazione dall’albo di Michele Aiello (che intanto sta fuori dalle patrie galere per il suo favismo), acclarato prestanome di Bernardo Provenzano.
L’otto febbraio del 2013, infatti, la villa fu sequestrata da due ispettori della forestale di Bagheria “stato grezzo ed in corso d’opera”, scrissero nel verbale di sequestro, come se la costruzione fosse stata costruita di sana pianta in maniera abusiva.
Ma la cosa assurda è che, dopo poco tempo, gli ispettori della Forestale di Bagheria Luigi Matranga e Giovanni Coffaro che sottoscrissero quel verbale, vennero coinvolti nell’inchiesta della Procura di Palermo perché – secondo l’accusa – “ricattavano gli abitanti della zona minacciando il sequestro di immobili. In cambio chiedevano somme di denaro”.
Ed è in questo lembo di terra che a Gianluca Calì continua ad accadere di tutto. Ma proprio di tutto.
Nel 2009 apre una succursale della sua concessionaria d’automobili milanese: la “Calicar”.
Dopo poco, però, una richiesta di pizzo dal clan locale. Calì non paga, non si piega ed il 3 aprile del 2011 alcune automobili della sua concessionaria di Casteldaccia vanno a fuoco.
E’ così che dopo le denunce alle forze dell’ordine, Gianluca decide di rivolgersi direttamente alla cittadinanza affiggendo un manifesto fuori dalla sua concessionaria, un “appello per non morire” attraverso il quale chiede di non essere lasciato solo e di segnalare qualsiasi attività sospetta alla polizia, ai carabinieri o ai vigili del fuoco.
L’appello viene ben accolto e il Centro Pio La Torre decide di organizzare una manifestazione di sostegno nei confronti di Gianluca per ribadire l’importanza di denunciare sempre ogni atto intimidatorio e violento. Nel frattempo le indagini degli inquirenti, cominciate in seguito alle denunce di Gianluca, proseguono e portano all’arresto di 21 affiliati al clan di Bagheria, tra i quali risultano anche i suoi estorsori.
E per chi pensasse che la storia delle sue intimidazioni possa finire qui, si sbaglia di grosso.
Le attenzioni del clan di Bagheria però non finiscono, anzi, proseguono con maggiore insistenza.
Ad ottobre di quest’anno uno sconosciuto si è presentato come finanziere nell’ufficio di disbrigo pratiche automobilistiche, a Milano, gestito dalla moglie Silvia, dicendo che era là per svolgere attività investigativa per conto della Guardia di Finanza.
Ovviamente, dopo le indagini della Polizia, l’uomo non è risultato un vero finanziere e gli investigatori, ancora una volta, hanno detto a Calì di “aver attenzione e prudenza”.
Oggi Gianluca Calì ha dovuto licenziare oltre 20 persone fra i suoi dipendenti e lo ha dovuto fare con “il cuore pieno di sofferenza”.
Non è finita. Calì incrocia Binnu, Bernardo Provenzano, anche quando scopre che Sergio Flamia, il mafioso che lo taglieggiava, era stato un fedelissimo del superlatitante e, insieme, confidente dei servizi, dai quali aveva ottenuto di poter scorrazzare libero in cambio di soffiate importanti.
Ricapitolando: la villa del “papa” di Cosa nostra, lo sgherro di Provenzano e l’ombra della trattativa Stato-mafia: “Non è un film né un romanzo: è la mia vita” dichiara Calì.
Abbiamo conosciuto Gianluca Calì in occasione del “Premio Scomodo 2014” della Fondazione Caponnetto.
Pensiamo che la gente debba sapere che la mafia, ancora una volta in questo caso, sia formata da un pugno di bastardi che, oltre a cercare (invano) di intimidire l’imprenditore Calì, hanno fatto perdere con le proprie malefatte il “pane” a più di venti padri di famiglia.
E’ questo il messaggio che deve passare, fra falsi finanzieri, guardie forestali infedeli, il favismo di Michelangelo Aiello e lo spaccone di Michele Greco. Binnu Provenzano sulla sua strada e la trattativa “Stato-Mafia” con il coinvolgimento di mafiosi al soldo dei servizi.
E’ la storia di un uomo che, per sopravvivere, si è dovuto comprare una macchina blindata.
E’ la storia di un Paese, il Nostro, che ha bisogno di legalità e verità.
E’ la storia della mafia, la solita “montagna di merda” e di quattro bastardi che stando fuori e minacciando, pensano di poter fare paura.
E’ la storia di chi resiste e non si arrende a uomini che d’onore non hanno niente: né davanti a Michele Greco, né davanti a Bernardo Provenzano, né davanti a Sergio Flamia.
Noi stiamo con Gianluca Calì. E voi?

Tratto da: laspia.it

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