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carcere-ucciardone-web00di Aaron Pettinari - 19 ottobre 2014
Carlo Marchese, esponente riesino di Cosa nostra, con una lettera al Tribunale di Roma chiede di essere ammesso come parte civile al processo contro il magistrato e il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano

“Sono una vittima del Protocollo Farfalla, accettatemi come parte civile”. Lo scrive Carlo Marchese, esponente riesino di Cosa nostra, in una lettera inviata al Tribunale di Roma che sta processando  il direttore del carcere di Opera Giacinto Siciliano e il magistrato Salvatore Leopardi, ex capo dell’ufficio detenuti del Dap, accusati di falso ideologico e omessa denuncia per aver fatto sparire alcune relazioni con i testi dei colloqui in carcere tra camorristi, e per aver omesso di informarne la magistratura, rivelandone il contenuto solo agli uomini del Sisde, sulla base dell’accordo sotterraneo tra il Dap di Giovanni Tinebra e il Sisde di Mario Mori, denominato ”Protocollo Farfalla”: un patto segreto, siglato con l’obiettivo di gestire ”riservatamente” le informazioni sensibili provenienti dai detenuti al 41 bis. Su questa vicenda, il 7 marzo 2011, dopo la convocazione davanti al Tribunale di Roma del colonnello dell’Aisi (ex Sisde) Raffaele Del Sole,  che non ha risposto ai magistrati, il governo Berlusconi ha imposto il segreto di Stato.

“Dopo le ultime vicende emerse sulla stampa, Marchese chiede di costituirsi parte civile contro il dottore Leopardi in quanto firmatario del Protocollo Farfalla all’interno delle carceri”, spiega l’avvocato Vincenzo Vitello, che assiste il boss riesino.  “Il mio assistito lamenta che il dottor Leopardi, quando era sostituto procuratore della Dda di Caltanissetta, avrebbe gestito in maniera anomala i collaboratori di giustizia che lo hanno poi accusato in processi di omicidio di mafia – prosegue Vitello – e poiché emerge dal Protocollo una gestione anomala dei detenuti al di fuori delle regole e dell’autorità giudiziaria, Marchese vuole capire se anche certi collaboratori di giustizia possano essere stati condizionati”.  Del resto non è la prima volta che il boss riesino lamenta di essere vittima di manovre gestite sotterraneamente nelle carceri dai servizi segreti, la stessa lettera l’aveva inviata ai giudici del processo d’appello per l’omicidio del pastore Calogero Pirrello, avvenuto nel giugno del 1987, nel quale e’ imputato.  Siciliano e Leopardi sono finiti sotto processo in quanto, tra il 2005 ed il 2006, anziché informare l’autorità giudiziaria della volontà del camorrista Antonio Cutolo, detenuto nel carcere di Sulmona, a collaborare con la giustizia, hanno comunicato i contenuti di primi verbali raccolti al colonnello Pasquale Angelosanto, in forza al Sisde. Il Tribunale si e’ riservato di decidere, e lo farà nelle prossime udienze romane. I legali di Leopardi hanno già annunciato che presenteranno una querela per diffamazione nei confronti dello stesso Marchese in quanto “le accuse sono assolutamente prive di ogni fondamento”.

Tratto da: loraquotidiano.it

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