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gioacchino-genchi-640-200x200di Edoardo Montolli - 24 luglio 2014
Gioacchino Genchi,
ora avvocato, è dunque tornato vice questore aggiunto. E dice a Fronte del Blog: «Col lavoro precedente, il riscatto degli anni della laurea e della pratica legale, ho maturato i quarant’anni per andare in pensione. Ma intanto, rientro».
Fu sospeso per tre dichiarazioni. E destituito dalla polizia. Un caso più unico che raro.
Scrivono i giudici: «D’altra parte, la sanzione della destituzione normalmente dovrebbe conseguire a fatti gravissimi e l’Amministrazione non l’ha mai applicata neppure nei confronti di dipendenti macchiatisi di delitti oltremodo gravi».

Già.

Fu un inverno caldo quello a cavallo tra la fine del 2008 e gli inizi del 2009. Si trascinava dietro lo scontro tra Procure – Catanzaro e Salerno-  sull’inchiesta Why Not di Luigi de Magistris. Un anno prima gliel’avevano avocata. E avevano tolto l’incarico al suo consulente informatico, Gioacchino Genchi, appunto. Un vicequestore aggiunto fino ad allora più o meno sconosciuto al grande pubblico, ma non esattamente a tutti.

GENCHI E LE STRAGI - Entrato in polizia nel 1985, aveva iniziato a collaborare con Giovanni Falcone alla fine degli anni 80. Poi, nel 1992, quando ammazzarono il giudice, recuperò i dati della sua agenda elettronica che qualcuno aveva cancellato. Divenne il vice di Arnaldo La Barbera nel gruppo d’indagine che cercava gli autori delle stragi palermitane. Scava scava, ritenne di aver individuato la talpa dell’eccidio di via D’Amelio, in cui erano saltati per aria Paolo Borsellino e la sua scorta. La talpa e un possibile luogo da cui azionare il telecomando dell’esplosivo. Poi col suo capo venne allo scontro. Non credeva alla pista imboccata dal pentito Vincenzo Scarantino – oggi noto come il falso pentito di via D’Amelio – e se ne andò sbattendo la porta nel maggio del 1993.

Di ciò che accadde esattamente ho dato conto in un lunghissimo libro, Il caso Genchi. Com’è noto, successivamente Genchi ha testimoniato in proposito al Borsellino quater.

LE PROCURE- Comunque sia, da quando lasciò il gruppo d’indagine, si mise a lavorare in silenzio per le Procure di mezza Italia. Voto interno alla Pubblica Amministrazione per tutti quegli anni: ottimo.

Andò successivamente in aspettativa.

Tutto accadde nel gennaio 2009, subito dopo la guerra tra i magistrati di Catanzaro e Salerno.

LO SCANDALO - Da Olbia l’allora premier Silvio Berlusconi annunciò: «Sta per scoppiare uno scandalo enorme, forse il più grande della storia della Repubblica: c’è un signore che ha spiato trecentocin­quantamila persone». Chissà cosa gli avevano raccontato.

IL LAVORO SU WHY NOT CESTINATO - Lo convocarono al Copasir. I procuratori aggiunti di Roma Nello Rossi e Achille Toro – poi dimessosi dalla magistratura per lo scandalo della cosiddetta “cricca degli appalti” – inviarono il Ros nel suo ufficio. Si portarono via hard disk con i dati delle sue inchieste.

Venne indagato. Lo accusarono anche di accesso abusivo alle banche dati.

Il suo lavoro su Why Not venne buttato via.

LE SOSPENSIONI- Poco dopo rilasciò un’intervista a Left. Gli costò la prima sospensione.

Il 19 marzo, sul sito di Salvatore Borsellino, 19luglio1992.com, venne riportata una concitata conversazione tra Genchi e il noto giornalista Gianluigi Nuzzi, avvenuta quando quest’ultimo aveva scritto sulla bacheca Facebook del primo, intento a fare gli auguri per la festa del papà.

I MOTIVI - Pur essendo avvenuta sul social network e pubblicata altrove non per sua volontà, la conversazione costò a Genchi la seconda sospensione, con la seguente motivazione: «funzionario della Polizia di Stato ha pervicacemente posto in essere un comportamento deontologicamente scorretto, in relazione ai doveri connessi alla funzione rivestita ed alle responsabilità sottese alla qualifica ricoperta, non impedendo in alcun modo la pubblicazione sul blog dallo stesso creato su Facebook delle dichiarazioni rilasciate in occasione di un dialogo con un rappresentante degli organi di informazione, dal contenuto lesivo del prestigio delle Istituzioni dello Stato. Con tale condotta ha disatteso le disposizioni emanate in materia di pubblica manifestazione del pensiero degli appartenenti alla Polizia di Stato, ribaditegli con una lettera di diffida del suo superiore gerarchico, venendo meno, in tal modo, ad un ordine legittimamente impartito». Sospensione avvenuta senza indicarne il termine finale.

LA DESTITUZIONE - Quindi, ormai nel 2010, quando Genchi si apprestava a rientrare, la terza e ultima sospensione che portava alla destituzione per le dichiarazioni rese dal poliziotto a Cervignano del Friuli nel dicembre 2009 e al successivo congresso dell’Italia dei Valori, in cui aveva parlato di Silvio Berlusconi e dell’attentato di Massimo Tartaglia.

Motivo: “anche in questa circostanza pericolosamente lesivo per il prestigio delle Istituzioni dello Stato, sembrerebbe potenzialmente idoneo a concretizzare un comportamento fortemente scorretto sotto il profilo deontologico da parte di un funzionario della Polizia di Stato, proprio in relazione ai doveri connessi alla funzione rivestita ed alle responsabilità sottese alla qualifica ricoperta”.

Il 16 febbraio 2011 Genchi veniva destituito così: «funzionario della Polizia di Stato, ancorché temporalmente sospeso dal servizio per altro procedimento disciplinare, ha continuato, pervicacemente, con ostentata pertinacia, noncurante di una precedente, formale diffida in tal senso, a porre in essere un comportamento fortemente scorretto, in assoluto contrasto con i doveri che ogni appartenente all’Amministrazione della Polizia di Stato solennemente assume con il giuramento all’atto della nomina in ruolo e a cui è tenuto sempre ad attenersi in costanza di rapporto di impiego».

IL TAR - I giudici del Tar, dopo aver analizzato il tutto in tre camere di consiglio, scrivono: «I provvedimenti cautelari in esame appaiono inoltre del tutto sprovvisti di prova in ordine ai “gravi motivi” (cioè l’attualità del pregiudizio che deriva all’Amministrazione dal mantenimento in servizio del dipendente) che in base  imponevano di sospenderlo dal servizio».

E ancora: «La misura cautelare appare peraltro sproporzionata tenuto conto del fatto che, fino alla contestazione degli addebiti del 18/3/2009 , nessun rimprovero era mai stato mosso dalla p.a. alla condotta del ricorrente da pochissimo rientrato in servizio dopo un lungo periodo di aspettativa».

E nel merito: «la p.a. non ha contestato, se non in modo del tutto generico ed esclusivamente assertivo, la rispondenza o meno a realtà dei contenuti delle affermazioni dell’odierno esponente».

Di più. Nel secondo dei tre provvedimenti di sospensione: «si palesa nel nuovo provvedimento sanzionatorio addirittura un intento persecutorio nei confronti del ricorrente, laddove si usa l’avverbio “pervicacemente” rispetto ad una condotta nemmeno ascrivibile con certezza al funzionario; ad avviso del Collegio, è invece l’Amministrazione che ha mostrato una eccezionale pervicacia a procedere disciplinarmente nei confronti del proprio dipendente, facendo seguire con una scansione logica precisa gli atti (ivi compresi il primo provvedimento cautelare adottato sine die e le diffide) utili ad addivenire alla irrogazione delle sanzioni, le quali poi hanno costituito la base per il successivo provvedimento di destituzione, al quale sembra invero essere stata preordinata l’intera azione amministrativa».

Da quando tutto cominciò si sono scoperte alcune cose.

Fu Genchi ad essere spiato e non lui, assolto dall’accesso abusivo alla banca dati.

Dai tanti processi aperti sulla sua attività è stato assolto in tutti i casi.

Ne resta aperto solo uno: quello per aver acquisito illecitamente i tabulati di 5 parlamentari.

A processo è finito ovviamente insieme a de Magistris.

Il pm Roberto Felici ha chiesto l’assoluzione di de Magistris, il magistrato che conduceva l’indagine, e la condanna per Genchi, che ne era il consulente.

Ha detto nella requisitoria: «Non ho trovato elementi per dire che lui (de Magistris) fosse a conoscenza che si stava commettendo un illecito acquisendo quei tabulati».

Resta da vedere cosa ne pensano i giudici.

E ORA? - Why Not è sostanzialmente finito in una bolla di sapone. E il famigerato archivio segreto di Genchi è stato affidato al calderone delle leggende metropolitane.

Però i giudici del Tar hanno acclarato che su Genchi ci fu un intento persecutorio.

Lasciando aperto un interrogativo inquietante: perché?

Edoardo Montolli (www.frontedelblog.it)

Tratto da:
19luglio1992.com

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