di Pippo Giordano - 19 giugno 2014
Il 19 giugno del 2014 sono a Palermo, mi alzo di buon'ora, ho un appuntamento con una troupe della RAI. Vado al cimitero e mi fermo innanzi alla cappella gentilizia dove sono sepolti i Giudici Francesca Morvillo e Giovanni Falcone. Poco più in là c'è la tomba della mia Famiglia. Vado a salutare Ninni Cassarà, amico sincero più che un collega, poi mi dirigo in quella che amo definire l'Università delle Investigazioni italiane, ovvero la Squadra Mobile di Palermo: c'è la RAI che m'aspetta per un'intervista proprio sulla vita del vice Questore Antonino Cassarà.
Nel '84 fu l'ultima volta che lasciai la Mobile, l'anno prima ero stato mandato via da Palermo per motivi di sicurezza. Ci ritornai nel '94 allorquando chiesi e ottenni l'uso della mia stanza per “ascoltare” un avvocato e non volevo che sapesse che facevo parte della DIA. Non ero stato più capace di salire quelle scale; non ero capace di vedere gli uffici della mia Sezione, ossia quella diretta da Ninni. Zucchetto, Montana, Cassarà, Antiochia e Mondo, tutti miei amici assassinati da Cosa nostra. Non avevo la forza di vedere quelle stanze talvolta piene di gioia per la riuscita delle operazioni: gioia che non veniva mai esternata fuori da quelle mura. E quando la RAI alla fine mi ha convinto ad entrare alla Mobile, ho vinto la paura. I più bei ricordi hanno preso il sopravvento sulla tragedia.
Salgo le scale con trepidazione: l'adrenalina fa aumentare i battiti del mio cuore, ma dovevo vincere la paura, dovevo riappropriarmi della bellezza dei ricordi più belli. Innanzi ai Ciccio La Licata e alla troupe della RAI, nascondo le mie ansie e intanto, finalmente, entro in quel che fu il mio piccolo ufficio. Mi siedo e per un attimo ho rivisto i miei amici e colleghi Aparo, Lillo, Roberto, Ninni, Beppe e Natale: erano tutti lì attorno a me e mi sorridevano. I miei occhi si inumidiscono e rivivo i ricordi di quei giorni che accompagnarono con spensieratezza le nostre giornate. Ma ho anche rivisto i volti dei “traditori”. I volti di coloro che per denaro ed altro si erano venduti a Cosa nostra e che sedevano accanto a noi. Fatta l'intervista con la RAI, mi allontano da quell'edificio che segnò profondamente la mia vita di uomo e di poliziotto.
Prima di girare l'angolo ho voluto dare l'ultimo sguardo: avevo vinto la paura che da oltre trent'anni attanagliava la mia mente. Avevo in animo di andare a trovare Paolo e Agnese Borsellino, ma lo stravolgimento del programma non me l'ha consentito.
Nel pomeriggio incontro alcuni colleghi delle “vecchia guardia” coi quali rivango il passato e subito dopo inesorabile arriva la notte. Non riesco a prendere sonno, un turbinio di emozioni aveva segnato la mia giornata palermitana. Rivedo nitidamente tutta la mia vita dedicata alla lotta alla mafia; rivedo quando da picciriddu frequentavo le case dei Capi di Cosa nostra, compreso quella dei Greco di Ciaculli. Salgo sul terrazzo e guardo la Conca d'Oro. Bella, stupenda. Sono le tre di notte, solo le onde del mare infrangono il silenzio e all'improvviso un ricordo mi catapulta all'inizio degli anni '80. Dal mio terrazzo guardo la villetta dove Francesco Marino Mannoia aveva appena finito di raffinare 45 kg di eroina pronta per essere spedita negli States. Sono esausto ma felice e m'addormento. Lascio Palermo e, appena atterrato a Bologna, un giovane mi chiede di passarli la valigia: era Giuseppe Pipitone, giornalista del Fatto Quotidiano. Con l'autobus passo davanti ad un locale e altri bei ricordi rallegrano la mia mattinata. Chiamo il mio amico Salvatore Borsellino al quale avevo confidato le mie paure e gli comunico che avevo vinto la mia battaglia; ero riuscito a salire le scale della Mobile di Palermo: lui si rallegra.
Tratto da: 19luglio1992.com