di Adriana Stazio - 16 giugno 2014
Oggi si è conclusa a Ferrara l'udienza preliminare del processo per la truffa sull'acciaio. Massimo Ciancimino era in carcere, accusato di essere ideatore e capo di un'associazione a delinquere. Un arresto richiesto dalla DDA di Bologna che subito perse la competenza in quanto lo stesso gip che aveva disposto l'ordinanza di custodia cautelare si rese conto di quanto fosse inesistente l'aggravante dell'art.7 che veniva contestata. Ma intanto Massimo dovette fare oltre due mesi di custodia cautelare, fu privato di un bene tra i più importanti, la libertà. E ricordate tutti l'arresto ad orologeria disposto il giorno dopo l'inizio del processo sulla trattativa Stato-mafia, la bagarre mediatica per delegittimare il lavoro della procura di Palermo tramite la delegittimazione del loro teste principale.
Oggi, un anno dopo, il tutto si è sgonfiato, grazie al lavoro di due pm competenti e laici nei loro giudizi e nel loro lavoro, il dott. Proto e la dott.ssa Cavallo della procura di Ferrara, che ho avuto il piacere di conoscere.
E' emersa la verità: Massimo ha conosciuto quelle persone dopo mesi che già avevano messo su la società che operava la frode fiscale e lo avevano truffato facendosi prestare 550.000 euro che poi non sono mai stati restituiti. Il tutto è seguito nel tentativo di Massimo di recuperare quei soldi, che non erano pochi. Come sapete ha ammesso le sue reali responsabilità, cioè di aver continuato a lavorare con loro nel tentativo di recuperare almeno parte dei soldi anche dopo aver capito il giochetto che facevano, cosa che avvenne un bel po' di tempo dopo.
Oggi Massimo ha reso dichiarazioni spontanee in cui ha sottolineato come la sua estraneità quantomeno al momento dell'ideazione della truffa fosse ormai ammessa da tutti oltre che provata documentalmente, spiegando poi perché si trovò ad accettare di aiutare queste persone, di cui ne conosceva una (per essere amico del padre di una ex fidanzata) facendogli ottenere un finanziamento tramite suoi amici, in quanto aveva bisogno di lavorare. E infatti gli fu fatto un regolare contratto con quella società di cui mai fece parte.
Ho potuto osservare il rapporto cordiale e di sincera stima che Massimo ha instaurato con i pm di Ferrara, ai quali ha offerto come sempre la massima collaborazione e apertura trovando dall'altra parte magistrati che hanno saputo ascoltarlo e indagare con laicità.
Un'altra cosa che ho potuto constatare, parlando con i vari avvocati, è come tutti fossero consapevoli che tutta l'inchiesta avesse avuto un iter anomalo e che questo fosse avvenuto a causa della presenza di Massimo Ciancimino tra gli indagati. Dal trasferimento a Bologna, all'anomalia del tempismo degli arresti dell'anno scorso su una richiesta cautelare del 2011 per fatti ormai così remoti che le esigenze cautelari erano improponibili. Così come il tempismo con l'inizio del processo trattativa Stato-mafia, che non è sfuggito.
L'udienza è terminata con la decisione del gup di accogliere le eccezioni di incompetenza territoriale per quanto riguarda la posizione di buona parte degli imputati, per cui la competenza cambia nuovamente (stavolta però in maniera fondata) passando a Reggio Emilia. Probabilmente un processo destinato a morire per prescrizione dei reati ma la responsabilità è di chi, per colpire Massimo Ciancimino e l'indagine sulla trattativa, ha fatto sì che l'indagine sull'acciaio seguisse questo iter anomalo, strappandola alla procura di Ferrara per passarla a Bologna e tenere quindi il tutto in sospeso per tre anni. Il gup ha inoltre disposto la revoca della misura dell'obbligo di dimora per Massimo. Ovviamente rimangono le misure di prevenzione anomale cui è sottoposto.
Insomma, una vittoria. Ma quale vittoria? Una sconfitta di una giustizia che si è potuta parzialmente affermare solo dopo tanto tempo, una vicenda che dimostra come anche una parte della magistratura si presti a cercare di fermare chi cerca di far luce sulle verità difficili di questo Paese e sugli intoccabili, e che dimostra come quel sistema sia forte e in grado di colpire chi gli si oppone. Una vittoria amara e dimezzata per Massimo, che non è (come non è mai) un semplice imputato, ma un cittadino che anche da imputato si ritrova dalla parte dei magistrati onesti e della giustizia e della verità pure quando lo accusano. Per questo viene attaccato più volte, senza un solo sostegno forte e deciso a livello nazionale. E questo a mio giudizio non è giusto.
Quello che rimane a tutti noi dovrebbe essere la riflessione, a un anno da quell'arresto vergognoso contro cui delle voci si levarono, voci importantissime, che - ne sono convinta - hanno avuto un peso per spezzare l'isolamento che a qualcuno aveva fatto credere possibile delegittimare Massimo con l'ennesima montatura, e quindi lo hanno protetto. Mi riferisco in particolare alla voce autorevole di Salvatore Borsellino che subito, senza esitazioni, tuonò contro l'arresto ad orologeria del teste chiave del processo trattativa e si disse preoccupato per la sua incolumità. Una riflessione duplice, dunque, su quanto sia fondamentale e necessario il sostegno, e su quanto questi poteri si concentrino per colpire un solo uomo individuato come l'anello debole della catena. Riflessione che segue necessariamente al bilancio che viene fuori esattamente un anno dopo quell'arresto eclatante, quando possiamo vedere, finalmente con gli atti alla mano, come il tutto si sia sgonfiato rivelandosi una montatura.