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pool-trattativa-sg-c-castolo-gianninidi Gea Ceccarelli - 12 maggio 2014
“Fino a poco tempo fa tutte le indagini antimafia, proprio per l'unitarietà dell'organizzazione chiamata Cosa Nostra, venivano fortemente centralizzate nel pool della Procura e dell'Ufficio Istruzione. Oggi invece i processi vengono dispersi per mille rivoli. Tutti si devono occupare di tutto, è questa la spiegazione ufficiale, ma è una spiegazione che non convince”.

Questo grido di allarme, più che mai attuale, arriva dal passato. Dal procuratore capo di Marsala del 1988: Paolo Borsellino. 

Intervistato da Saverio Lodato per L’Unità, il magistrato, ucciso a Palermo quattro anni dopo, spiegava di avvertire come, dai piani di potere, si volesse smantellare il pool antimafia, quella squadra nata dall’ingegno di Rocco Chinnici e grazie alla quale si era riusciti a raggiungere traguardi importantissimi nell’ambito della lotta alla criminalità organizzata, in primis lo storico Maxi Processo. 

La storia, però, non insegna. Oggi, a 26 anni di distanza, l’antimafia si trova a fare nuovamente i conti con i tentativi di 'scippare' i processi e le indagini ai magistrati che si impegnano in essi. Soltanto che, allora, non era legge a decretarlo, non vi era alcuna norma scritta che potesse applicare ai magistrati un bollino di scadenza, ora fissato a dieci anni grazie all’ordinamento giudiziario Castelli-Mastella del 2007.

 La circolare del Consiglio Superiore della Magistratura dello scorso 5 marzo ha sollevato un polverone: in essa si ordina a tutte le Direzioni Distrettuali Antimafia di non assegnare nuove inchieste ai pubblici ministeri che si sono già occupati per un decennio dell’argomento. Una raccomandazione che, neanche a dirlo, riguarda anche e soprattutto il pool antimafia di Palermo, quello che si occupa della trattativa Stato-mafia, tanto più che la circolare è stata velocemente ribattezzata 'anti-Di Matteo'.

Certo, il processo più temuto nei palazzi di potere è salvo; il magistrato più malvisto dalla criminalità organizzata e dai rappresentanti collusi delle istituzioni continuerà ad occuparsene. C’è il rischio, però, che non possa vedersi affidate le indagini riguardo nuovi filoni emersi proprio dal procedimento, come quello della Falange Armata, da cui, pare, dopo decenni di misteri, sarebbe persino riuscito a far emergere nomi e cognomi. Il premio per tanto impegno e bravura sarà non poterli nominare.

Il motivo è semplice: lui ha terminato i suoi dieci anni nel 2010, ora è 'solo' un applicato, come il suo collega Roberto Tartaglia. Per un altro magistrato della trattativa, Francesco Del Bene, la scadenza è questione di settimane. Resta solo Vittorio Teresi. Di fatto, vi è la possibilità che ben presto i tre debbano dire addio a nuove indagini, lasciando spazio a colleghi fino a questo momento assegnati ad altri pool specializzati, in nome della rotazione. Individui che, per quanto professionali, si troveranno a fare i conti con un argomento tanto delicato quanto complesso, che necessiterebbe una preparazione e un’esperienza fondata, come quella che si raggiunge, appunto, dopo dieci anni di lavoro. 

E’ la legge, niente da fare: impossibile andarvi contro, ma pure accettarla per come è stata strutturata diventa difficile. Lo sa bene anche Giancarlo Caselli che, Cosa Nostra, l’ha combattuta in prima persona. “Sono anni che diciamo che la specializzazione andrebbe salvaguardata”, ha sostenuto, interpellato da ArticoloTre. “Però è compito del legislatore, del Csm, interpretare la legge”. D’altra parte, ha aggiunto, “non è che riguardi solo la mafia”. Niente di più vero: negli anni scorsi a pagarne le spese sono state anche le squadre di Guariniello a Torino e Greco a Milano. Pool che avevano portato a processi storici come Thyssen, Eternit, Parmalat, Enel, Eni o San Raffaele, improvvisamente azzerati. “Il Csm però”, aggiunge Caselli, “applica principi di carattere generale, non è che abbia obiettivi particolari…”.

Di diverso avviso è Salvatore Borsellino, il quale ha subito invocato alla ribellione: il fratello del magistrato ucciso a Palermo sostiene che il Csm, il cui presidente è Giorgio Napolitano (da lui  più volte definito il “garante della trattativa Stato-mafia”), stia semplicemente tentando di smantellare il pool di Palermo, perché troppo scomodo, esattamente come accadde 20 anni fa. “ Il popolo deve reagire, non può aspettare che altri magistrati vengano eliminati”, aveva tuonato appena dopo la diffusione della notizia relativa la circolare.

E il popolo l’ha fatto. Tanto più che, pochi giorni dopo, il Csm stesso ha compiuto un passettino indietro, attraverso una nota in cui, oltre a scaricare la colpa all’ordinamento giudiziario, con un atteggiamento che ad alcuni potrebbe ricordare quanto fatto da tale Ponzio Pilato, sostiene come sia “destituita da ogni fondamento” l’interpretazione dietrologica.  La misura vuole semplicemente “evitare pregiudizi alla continuità dell'azione investigativa e nel contempo i molteplici rischi legati alla concentrazione dei procedimenti della Dda in capo a pochi specialisti”, ha specificato l’organo, ricordando come non si sia trattata certo di una novità. 

Il rischio però resta. E il pericolo che il pool palermitano venga falcidiato non è assolutamente escludibile. Tra chi si augura che ciò non accada, vi è il testimone chiave del processo sulla trattativa Stato-mafia, Massimo Ciancimino, che auspica come la circolare del Csm “possa lasciare margini sufficienti al Procuratore della Repubblica per poter garantire la necessaria continuità dell'inchiesta sulla trattativa, consapevole della sua enorme delicatezza”.

“Mi auguro che il Csm sciolga questo nodo in senso positivo e che il procuratore Messineo possa procedere alle assegnazioni dei nuovi fascicoli a quei magistrati che hanno finora seguito l'inchiesta con impegno e professionalità estremi, acquisendo un notevole bagaglio di conoscenze”, ha aggiunto, interpellato da ArticoloTre. “Ciò anche per dare una risposta al Paese e non lasciare altre inutili ombre che possano far pensare a una volontà di sottrarre a quei magistrati un'indagine così delicata per lo Stato stesso”.

“Riguardo la mia situazione di teste anche nelle nuove indagini, ovviamente, data la delicatezza delle mie dichiarazioni, di passo in passo valuterò chi mi troverò davanti e deciderò come procedere” ha proseguito. “Non sarò mai io a tirarmi indietro, ma dovrò valutare se ci saranno ancora le condizioni per andare avanti”.

Anche perché la questione riguardante la sua protezione è ogni giorno più pressante e preoccupante: “Conosco i limiti dei magistrati di Palermo”, ha spiegato. “Anche loro subiscono, anche se in altri ambiti, evidenti imbarazzi ed ostracismi istituzionali”. “Lo vedo costantemente nei loro sguardi anche durante i recenti interrogatori: vorrebbero offrire più protezione a me e la mia famiglia, ma non hanno nessun appoggio da parte delle istituzioni per poterlo fare”. Il magistrati del pool antimafia , d’altra parte, “sono isolati”, aggiunge Ciancimino. “Loro stessi aspettano mezzi e tecnologie per garantire la propria incolumità”.

Resta loro giusto la fame di verità e, tratto non trascurabile, l’umanità: “Ieri ho incontrato il grande magistrato Del Bene”, ha ricordato il superteste. “Giustamente era scortato per il suo delicato ruolo, a differenza mia”. “Il fatto di vedere in bicicletta e senza alcuna protezione me, Massimo Ciancimino, il principale teste, colui il quale ha reso possibile questo processo che sta mettendo in crisi un sistema, non lo lascia indifferente”; “Nella sua immensa umanità e gentilezza” ha concluso il testimone riferendosi al giudice “nello stringermi la mano per salutarmi, ha saputo solo dire poche parole: ‘stia attento'”.

Ha collaborato Gianfranco Broun

Tratto da:
articolotre.com

Foto © Castolo Giannini

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