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beretta-egidia-casa-9maggiodi Salvo Vitale - 6 aprile 2014
Piove. A Cinisi, nella casa che fu del boss Badalamenti e che ora i compagni di Peppino hanno chiamato “Casa Nove Maggio”, per ricordarne la data della morte, c’è molta animazione. Lei arriva con puntualità, preceduta da due ragazzi che portano pacchi con i libri. E’ una donna bionda, alta, molto fine. Comincia a parlare Salvo Vitale, che dice come l’iniziativa odierna compre una sorta di vuoto lasciatoci tre anni fa, quando Vittorio Arrigoni avrebbe dovuto partecipare ai lavori del Forum sociale Antimafia, in occasione dell’anniversario della morte di Peppino Impastato, i biglietti erano già fatti, ma tutto venne interrotto dalla notizia della sua morte. Non è la prima volta che una madre, colpita nel suo affetto più caro, la perdita violenta del figlio, viene a Cinisi: Salvo ricorda, nel 2002, Heidi Giuliani, la madre di Carlo, ucciso a Genova durante le repressioni per il G8 e il suo commovente incontro con Felicia Impastato.

Allora sul balcone di Casa 9 maggio venne esposto uno striscione con la scritta: “Vittorio e Peppino uniti nella lotta”. Elio Teresi si sofferma sul significato della resistenza e delle varie resistenze che, in ogni parte del mondo, hanno la caratteristica di opporsi a chi detiene il potere e lo usa in termini oppressivi e liberticidi, in Sicilia la mafia, a Gaza gli israeliani. Ci aspettavamo una ventina di persone e invece ce ne sono più di cento, in gran parte in piedi. Chi ha invece avuto la fortuna di trovare una sedia si dispone a circolo nel grande salone. Non c’è alcun esponente  del mondo politico di Cinisi: la cultura, questo tipo di cultura, non appartiene alla loro esistenza. Lei comincia a parlare, all’inizio con un po’ di commozione, poi, via via, sempre più sciolta. Passa in rassegna i vari aspetti del libro, ne legge alcuni capitoli, cerca di spiegare la complessa personalità di Vittorio, sempre in giro per il mondo e. comunque, quasi ossessionato dal dramma dei palestinesi e dal bisogno di vivere tra di loro, di dare il suo contributo per aiutarli. Legge alcune e-mail scambiate tra lei e Vittorio per parlare dell’intenso rapporto che la univa al figlio, che, ci tiene a sottolinearlo, lei lasciava sempre libero nelle sue scelte. Si sofferma in particolare sull’operazione “Piombo fuso”, della quale Vittorio fu l’unico a narrare la cronaca giornaliera e sul criminale comportamento degli Israeliani, che, dopo avere innalzato attorno a Gaza un muro, non hanno esitato a bombardare chi c’era dentro, persino la sede  dell’ONU. Parla anche delle circostanze della morte, della spiegazione data sulla responsabilità di un gruppo salafita, i cui esponenti sarebbero stati uccisi qualche giorno dopo in uno scontro con gli uomini di Hamas, ma anche della possibilità di altre spiegazioni, dal momento che il nome di Vittorio era il primo di una lista di obiettivi da eliminare, scritta e pubblicata in un blog gestito da estremisti della destra israeliana e filoamericana. Pino Dicevi legge una sua poesia dedicata a Vittorio, cadenzando quella che ormai è la frase con cui si identifica la figura di Vittorio: “Restiamo umani”. C’è anche, tra i presenti, un palestinese che lavora nella CGIL a Palermo e che porge il suo saluto commosso, ma anche un esponente di un gruppo di ragazzi di Lampedusa che giornalmente cerca di aprire sul mondo una finestra sulle condizioni da lager in cui vivono i migranti che vi sbarcano. Giovanni Impastato comunica la sua grande emozione assieme al piacere di avere già conosciuto Egidia nel corso di una trasmissione. Il dibattito continua e la voce di Egidia Berretta Arrigoni è sempre pacata, dolce ma ferma, sempre più aperta a narrare particolari della vita di suo figlio. Sono le venti e nessuno ha ancora voglia di andar via. Poi tutti si affollano a comprare il libro, “Il viaggio di Vittorio” e a chiedere una dedica.

In foto: Egidia Beretta, madre dell'attivista Vittorio Arrigoni ucciso a Gaza nel 2011

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