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dalla-chiesa-nando-web2di Nando dalla Chiesa - 29 marzo 2014
Una premessa. Anche se c’è di mezzo un prete, nessuna guerra di religione. Il prete è don Luigi Ciotti, protagonista (con il nome di don Silvano) del libro I buoni di Luca Rastello. Il quale ha voluto raccontare la “Grande rete della legalità” attraverso la storia prima del Gruppo Abele e poi di Libera, le creature del prete torinese. Per riuscirci ha attinto alle sue memorie di “osservatore partecipante” del gruppo Abele e della rivista Narcomafie. E ha poi indagato, talora frugato, la vita di Libera di Torino, la sua città. Ne è uscito un ritratto per nulla piacevole di un mondo pur carico di meriti e di riconoscimenti sociali. E qui si impone lo sguardo laico.

Perché proprio su queste pagine scrissi giusto tre mesi fa un articolo intitolato “Il circo dell’antimafia”. Non per caso. Ma perché vedevo crescere nelle associazioni e tra i protagonisti dell’antimafia una tendenza alla millanteria, alla superficialità, al vittimismo eroico, una qualche propensione all’affarismo “a fin di bene”. Non credo affatto (e non lo crede don Ciotti) che Libera sia del tutto immune da questi vizi, sul cui rischio si è tenuta una importante assemblea nazionale lo scorso febbraio. Che cosa dice di nuovo, dunque, Rastello? Racconta con bravura stilistica ciò che esiste in ogni organizzazione carismatica: il fascino e talora il mistero del leader, la corte dei fedeli (il cerchio magico, si dice oggi), le promozioni e le retrocessioni improvvise di ruolo e di funzione, le rivalità di carriera e d’amore, l’affermazione di una speciale retorica, scimmiottata su quella del leader. Insomma quel che è esistito nel Pci di Berlinguer, in Lotta Continua o nei movimenti giovanili delle contestazione (chi non ricorda Porci con le ali?) o nel Partito radicale, il più antipartito della Prima Repubblica. Roba non bella, spesso comica o disgustosa, ma ineliminabile. E che non trasforma in impostura nessuna di quelle esperienze. Ineliminabile anche nei “buoni”, a meno che non si pensi che essi debbano essere non buoni ma “santi”. Anzi, la stessa eventuale storia di un amore segretamente provato da don Ciotti per una delle ragazze impegnate con lui, adombrata nel libro, se fosse vera mi renderebbe la sua figura ancora più grande e romantica.

SI ESALTA piuttosto nel libro il tema dei contributi non versati o degli stipendi giunti faticosamente per diversi operatori. Non ha senso qui ricordare gli identici costumi dei partiti o delle grandi associazioni degli Anni Ottanta. Era comunque una pessima abitudine. Semmai serve ricordare il vero ciclone di urgenze che il Gruppo Abele dovette fronteggiare, tra droga e Aids, le mille richieste di essere prese “per un lavoro” provenienti da persone bisognose di aiuto e di reinserimento (e ovviamente non sempre qualificate) a cui il gruppo dava risposte positive non per spirito di sfruttamento, ma per una solidarietà che spesso (magari con incoscienza) saltava ogni ostacolo.

In realtà chi ha frequentato don Ciotti in questi anni sa con quanta forza egli abbia posto i problemi che oggi il libro di Rastello vorrebbe consegnare come provocazione irrituale. Le associazioni antimafia come primi nemici dell’antimafia, la legalità come parola vuota se non è premessa di giustizia sociale, la generosità verso le fragilità altrui, e viceversa l’intransigenza verso se stessi e verso le tentazioni del divismo. Di più. Oggi Libera è forse l’unica, senz’altro una delle pochissime associazioni antimafia con un bilancio pubblico accessibile a tutti. E nessuno vi lavora in nero.

Chi fa un’inchiesta sull’associazione lo dovrebbe sapere, soprattutto se decide di arrivare ai giorni nostri per raccontarne le poco nobili imprese sessuali di alcuni giovani esponenti torinesi. Resta su tutto (ma non nel libro) il fatto che centinaia e centinaia di familiari di vittime hanno trovato con Libera una propria dignità dopo decenni di abbandono; che i beni confiscati ai mafiosi hanno una destinazione sociale e stanno originando una nuova economia; che sono sorte le più imponenti scuole di educazione alla legalità per giovani e insegnanti; che il paese è capace di mobilitarsi contro le mafie sempre e non solo a ridosso dei grandi delitti (“dovremmo avere un morto eccellente l’anno”, disse una volta Falcone).

Certo mala tempora currunt per Libera, almeno in certi ambienti (la battaglia per il reato di autoriciclaggio, per il voto di scambio politico-mafioso…). Il libro non nasce per questo ma sta dentro un vento, che ricorda quello della celebre polemica sui professionisti dell’antimafia. E purtroppo abdica alla responsabilità della contro-inchiesta travestendosi da romanzo. In un paese che ha portato il senso di responsabilità ai minimi storici, anche questo ci può stare. Ogni epoca ha i suoi generi letterari. Compreso il romanzo gossip.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 29 marzo 2014

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