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petruzzelli-domenico-webdi Enza Galluccio - 19 marzo 2014
Morire a tre anni in questo sciagurato paese è diventato normale. La morte di bambine e bambini è una costante che si replica quasi ogni giorno.
Siamo costretti ad assistere quasi senza più un fremito al lungo elenco di nomi e cognomi di un’infanzia violata, sopraffatta, umiliata, ignorata … uccisa.
I bambini muoiono di botte e violenza, a fianco delle loro madri per mano di padri, compagni, vicini di casa. Muoiono di cancro nella terra dei fuochi, ma anche a Taranto e a Vado Ligure. Muoiono di fame e di freddo in roulotte che prendono fuoco. Muoiono di droga, di aids, d’incuria. Muoiono in auto che corrono troppo. Muoiono con padri e madri che decidono per loro di farla finita tutti insieme, così si nasce così si muore!

Muoiono di malasanità o di sanità pubblica cancellata. Muoiono ai bordi delle strade con le loro biciclette.
Infine, muoiono  anche per mano di sicari che neanche li vedono. Oggi è questa la notizia.
Sulla strada statale ionica, la Taranto-Reggio Calabria, sono stati sparati 13 colpi di arma da fuoco contro Carla Maria Fornari di 30 anni che si era da poco costituita parte civile nel processo per l’omicidio del precedente marito, Domenico Petruzzelli, che si stava proponendo sul mercato della droga locale. Nell’agguato muore anche il suo nuovo compagno Cosimo Orlando, anche lui pregiudicato che con quel viaggio ritornava in carcere sulla piccola Matiz rossa. Una vera e propria esecuzione.
Solo che i due non erano soli su quell’auto. Con loro viaggiavano i tre figli della donna di quattro, sei e sette anni. I più grandi nel sedile posteriore mentre il piccolo, probabilmente, seduto davanti in braccio a qualcuno.
È così che è morto il bimbo senza nome messo nel posto sbagliato; inesistente per quegli uomini che hanno sparato risparmiando gli altri due, anch’essi inesistenti ai loro occhi.
Le mafie da molto tempo uccidono anche i bambini, a volte non li vedono nemmeno, a volte li cercano per punire i loro padri e le loro madri.
La lista dei nomi è molto lunga. Ne cito alcuni per dovere di cronaca.
Muore Giuseppe Bruno, di 18 mesi, in un agguato contro il padre per mano della ‘ndrangheta nel 1974 a Seminara, si dice per errore.
Poi tocca a Michele e Domenico Facchineri, 9 e 11 anni, uccisi perché figli di uno ‘ndranghetista, nella guerra tra faide a Cittanova, nel 1975.
Succede poi nel 1993, in via dei Georgofili a Firenze, dove nell’esplosione muoiono anche due bambine, Nadia e Caterina Nencioni, rispettivamente di 9 anni e 50 giorni; vittime di un attentato semplicemente perché erano lì, anche loro non viste, inesistenti.
Nel ’98 è il turno di Mariangela Ansalone, che a 9 anni muore per caso insieme al nonno perché passava in auto davanti al luogo di un altro omicidio.
Nel 2009, Domenico Gabriele detto Dodò perde la vita a soli 11 anni per errore, in un agguato di ‘ndrangheta.
Per ultimo, voglio ricordare il piccolo Giuseppe Di Matteo, morto per mano di mafiosi dopo più di due anni di prigionia, perché figlio di un collaboratore di giustizia …
Questa è la storia che, da sola, può darci il senso del male allo stato puro. È la certezza di un’infanzia che per molti non vale nulla. Giuseppe scompare a 11 anni nel 1993. Il pentito Gaspare Spatuzza che partecipò al rapimento, nelle sue deposizioni racconta che si erano travestiti da poliziotti per conquistare la sua fiducia. Il padre in quel periodo era sotto protezione lontano dalla famiglia, lontano dalla Sicilia; era stato facile ingannarlo facendogli credere che lo avrebbero portato da lui.
Spatuzza afferma: "Agli occhi del bambino siamo apparsi degli angeli, ma in realtà eravamo dei lupi. (...) Lui era felice, diceva 'Papà mio, amore mio'". Invece Giuseppe fu legato e lasciato nel cassone di un furgone e poi portato dai suoi carcerieri. Suo padre non si piegò al ricatto e il piccolo, dopo quella lunga prigionia, fu strangolato e sciolto nell’acido all’età di 14 anni …

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