di Enza Galluccio - 22 gennaio 2014
Al dibattito di Torino che si è svolto il 18 gennaio di quest’anno, è intervenuta anche l’europarlamentare Sonia Alfano, presidente dell’Associazione Nazionale delle vittime della mafia e figlia di Beppe Alfano, giornalista assassinato dalla mafia l’8 gennaio 1993. La Alfano ha aperto il proprio intervento con parole drammatiche, sui troppi tragici fatti rimasti senza risposte: “… Qui il tempo passa e ci sono persone che purtroppo non potranno vedere la parola fine” e sul decreto svuota-carceri: “la condanna a vita l’hanno pagata soltanto i familiari delle vittime della mafia”.
Ma Sonia Alfano non si è limitata a queste dichiarazioni; la sua rabbia è apparsa tangibile e la lunga narrazione è diventata subito denuncia. Il primo punto di riferimento è una puntata della trasmissione Servizio Pubblico di Michele Santoro del 2012, in cui era stata mandata in onda un’intervista esclusiva del figlio di Bernardo Provenzano, il boss al 41bis la cui posizione attualmente è stralciata dal processo sulla trattativa, non essendo ritenuto più lucido. In quell’occasione, Angelo Provenzano aveva detto che non si poteva rispondere alla violenza con altra violenza e che suo padre, da lui dichiarato in precarie condizioni di salute, aveva diritto ad essere curato come tutti gli esseri umani. Sonia ricorda che quell’intervista si era conclusa con delle parole piuttosto sibilline: … Non è che per mio padre deve andare a finire come per Portella della Ginestra? Riferendosi alla strage del primo maggio del 1947. Quell’intervento del figlio di un mafioso di tale portata, in una trasmissione pubblica, aveva suscitato molte polemiche. Ma per l’europarlamentare, ogni occasione che permetta di ampliare il quadro delle informazioni utili ad avvicinarsi alle verità sulle stragi italiane deve sempre essere presa in seria considerazione, e ogni parola dev’essere analizzata per carpirne l’eventuale messaggio implicito.
Dopo quell’intervista, la Alfano aveva fatto delle visite a Bernardo Provenzano nel supercarcere di Parma, possibilità che è riconosciuta ai parlamentari europei. Poiché il regolamento prevede che il carcerato non debba essere avvertito, si era sempre presentata nelle strutture penitenziarie senza mai dare alcun preavviso.
La penultima volta che aveva incontrato il boss, insieme al parlamentare del Pd Giuseppe Lumia, era il 25 maggio del 2012 (non il 26 come era stato riportato erroneamente) ed a quella data, Sonia Alfano ha ribadito che Provenzano era certamente“lucido”. In quell’occasione, riferendosi alle parole del figlio, gli aveva chiesto se per lui non fosse giunto il momento di rivolgersi alle autorità giudiziarie e pentirsi, avvalendosi della legge dello Stato sulla collaborazione, anche per avere un regime di carcere meno duro (attualmente, il 41bis nella sua forma più severa è applicato soltanto a due condannati, Provenzano è uno di questi; per tutti gli altri la pena prevede formule più flessibili). La Alfano ha rivelato che , a quel punto, Provenzano aveva risposto: ”Ma è fattibile?” Lasciandola senza parole.
Per la prima volta il boss mafioso che conosce tutte le verità sulle stragi e sulla trattativa, non aveva escluso la possibilità di rivelare ciò che sapeva ad un magistrato …
Poi, aveva aggiunto che ne avrebbe parlato con i figli, precisando che in ogni caso sarebbe dovuta ritornare a “prendere la risposta” personalmente, senza alcuna richiesta da parte sua.
Contro ogni regola quella conversazione era stata registrata, ha affermato l’europarlamentare, e quando era tornata da Provenzano il 3 luglio dello stesso anno, aveva avuto la sensazione che la sua visita fosse attesa anche se, come sempre, non aveva dato alcun preavviso. Inoltre quel pomeriggio si erano verificate delle stranezze durante i suoi spostamenti in auto e, su questi fatti, attualmente sono in corso delle indagini.
Provenzano quel giorno si era presentato con numerosi lividi e dei punti di sutura sull’arcata sopracciliare.
La Alfano aveva chiesto delle spiegazioni utilizzando anche il dialetto e la Direttrice del carcere - che misteriosamente quella volta l’aveva accompagnata rimanendo però fuori dalla porta - si era intromessa nella conversazione, dicendo che era caduto dal letto e non aveva ricevuto alcun pugno, non avendo compreso la parola “punta” [punti – n.d.r.] espressa in siciliano. Provenzano, sempre in siciliano, aveva detto che “era la seconda volta che succedeva e non che gli avevano dato considerazione” poi aveva chiesto “qui siamo in troppi, non possiamo parlare fuori di qua?” Sonia Alfano aveva risposto di no, aggiungendo che avrebbe dovuto parlare con i magistrati.
Dopo quella visita, aveva presentato richiesta per essere ascoltata in merito alle condizioni di salute di Provenzano, ma a distanza di un anno nessuno si era degnato di risponderle, neanche a fronte di rivelazioni così importanti.
La parlamentare europea ha concluso citando il protocollo farfalla, su cui molti si sarebbero divertiti a fantasticare. Ebbene, ha affermato con certezza che quel protocollo esiste. Esso prevede l’impegno di circa 250 uomini della polizia penitenziaria che si occupano di “detenuti particolari” – terroristi, stragisti, mafiosi,… - l’obiettivo di queste persone, secondo la Alfano, sarebbe quello di monitorare i detenuti per evitare che essi possano decidere di collaborare.
Le parole che Sonia Alfano ha portato con sé sono state molte; la decisione di condividerle attraverso quel dibattito, proprio in quell’occasione, fa comprendere quanta preoccupazione ci sia. Sicuramente, si è manifestata la volontà di far conoscere quei fatti ad un pubblico attento come quello di Torino, come se ci fosse il timore, che il tempo potesse non bastare …
Intanto, le preziose memorie di Bernardo Provenzano non potranno più essere rivelate, con gran soddisfazione di coloro che probabilmente preferiscono una distrazione diffusa, piuttosto che certi ricordi o una verità provata.
Foto in alto © Giancarlo Finessi
Foto in basso © Castolo Giannini