di Pippo Giordano - 20 dicembre 2013
Come ho già più volte scritto, non giovano né a Totò Riina né a Cosa nostra. Semmai gli unici che ne beneficeranno da tutto il marasma causato ad arte, sono quelli che una volta si esprimevano da “Corvi”, poi con le “veline” e oggi con gli scritti anonimi. Insomma, scassapagghiari insignificanti che stanno facendo di tutto per impedire che il processo sulla trattativa Stato-mafia giunga a sentenza. E, lo so miei cari quaquaraqua, ce la state mettendo tutta ma rimarrete delusi, perché la sentenza ci sarà. Il punto non è se si arriverà ad una condanna o ad un'assoluzione, la vostra “strizza” è che in itinere potrebbero emergere “episodi indicibili”. Ed è qui che si sta giocando la partita con relativo accanimento terapeutico verso Di Matteo. E ovvio che oggi Nino Di Matteo è “l'uomo da abbattere” giacché è divenuto il magistrato simbolo della trattativa dopo la fuoruscita di Antonio Ingroia. E quindi mi rivolgo con il dovuto rispetto ai magistrati di Palermo, Trapani e Caltanissetta; per favore quando vi giungeranno altre missive anonime, usate quella bellissima macchinetta che tritura i fogli: era il mio passatempo preferito. Tritavo, tritavo le meschinità di quegli esseri immondi che non avendo il coraggio di dire apertamente quel che pensavano, si realizzavano scrivendo cose assurde: era il loro modo per compensare quella crescita distorta da un'infanzia infelice, oltre che da pubertà travagliata. Ora mi rivolgo direttamente al giornalista Filippo Facci.
Ma prima sento il dovere di ringraziare pubblicamente il giornalista Salvo Sottile, che nell'ultima puntata di Linea Gialla, ha esordito “trattativa Stato-mafia”: uno dei pochi che non ha usato “presunta”. Egregio signor Facci, le premetto che non sono esperto di mafia, ho solo avuto la disgrazia di crescere a pane e mafia. Da bambino frequentai non le case di “picciotti”, ma alcune di quelli che governavano la Cosa nostra, prima che Totò Riina se ne impadronisse manu militare. Nella puntata di Linea Gialla di martedì scorso lei ha parlato di tante cose: alcune condivisibili altre no. Un suo pensiero lo condanno con forza e mi creda ho ben donde di pronunciarmi in questo modo, perché lei ha riportato indietro l'orologio della storia, facendomi rivivere le stesse amarezze quando accusarono Giovanni Falcone d'essersi messo egli stesso l'esplosivo nel mancato attentato dell'Addaura. Non accetto, che lei dica con disarmante semplicità, che per far resuscitare il processo sulla trattativa Stato-mafia, oramai “morto” i magistrati si siano inventati le minacce o che le avrebbero fatte uscire apposta. E quando lei invita il pm Di Matteo di “guardare dentro casa sua”, lo fa in modo da ipotizzare che tutta la vicenda delle minacce, abbia la genesi nel Palazzo di giustizia di Palermo. Dissento platealmente. Nel corso della puntata si è parlato anche dell'impossibilità di assicurare la presenza di Di Matteo all'udienza di Milano. Ebbene, è inutile che si cercano giustificazioni, lo Stato ha fallito punto è basta. Qualche giorno fa ho scritto che se fossi ancora in attività e m'avessero affidato l'incarico degli spostamenti di Di Matteo, l'avrei condotto a Milano, senza tanto scrusciu e batteria: a modo mio ovviamente. Ora, poiché sono passati tantissimi anni posso svelare, che condussi nei vari processi i pentiti di grosso calibro di Cosa nostra, da solo usando un'utilitaria peraltro scassata e mentre le stragi venivano consumati e Riina ancora libero. Il tutto avveniva nell'assoluto silenzio: solo pochissime persone erano a conoscenza del mio metodo. Ora vedo gran “baccano” con relativi passamontagna: ognuno ha il suo metodo. Addirittura, per farvi comprendere come si poteva essere “nessuno” tra migliaia di persone, presi in più occasione insieme ai pentiti, il caffè, gomito con gomito, con Michele Santoro o pranzare con Maurizio Costanzo e sua moglie Maria De Filippi: la mia carta vincente? Era la normalità nel spogliarmi dei vestiti di sbirro e far diventare il pentito cittadino qualunque. Quindi, ministri Cancellieri e Alfano dimostrate al Paese che lo Stato, se vuole può essere più forte della mafia: il pm Nino Di Matteo deve poter girare in lungo e largo l'Italia.