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2di Umberto Di Maggio - 20 novembre 2013
“A Palermo siamo tutti mafiosi. La cultura della mafia ce la portiamo dentro. E’ parte di noi, nel nostro DNA. Non la sconfiggeremo mai”. Io non ci giurerei. Questa frase forse è chiacchiera da bar e nient’altro. Forse, infatti, quest’equazione totalizzante che vorrebbe la Sicilia irredimibilmente criminale ha fatto il suo tempo ed è ora di recitarle il de profundis.
Giusto per fare qualche esempio, mica erano mafiosi i 1000 e più cittadini palermitani che hanno affollato la piazza del Teatro Massimo, lo scorso lunedi per la manifestazione organizzata dalle Agende Rosse, a sostegno del Procuratore Nino Di Matteo. Mica erano mafiosi gli studenti che nelle Università che hanno affisso striscioni e bandiere a sostegno dei pubblici ministeri. Mica erano mafiose quelle associazioni, quei movimenti che hanno marciato pacificamente da Piazza Verdi al Palazzo di città mettendo la propria faccia e  spendendosi in prima persona a difesa della verità e della giustizia. Mica erano mafiosi i tanti imprenditori, insegnanti, sindacalisti, donne e uomini delle istituzioni che hanno dedicato un intero pomeriggio ad attestare con la presenza fisica la propria solidarietà a chi non cede un passo nel contrasto giudiziario a cosa nostra.

Ora Totò Riina potrà pensare quello vuole. Potrà dire le sue parole in libertà come sempre ha fatto. Potrà minacciare questo o quel magistrato e far credere al mondo intero che è ancora il capo dei capi. Ma c’è una novità e con quella dovrà fare i conti. C’è un’intera città che non ha mai dimenticato la sua natura antimafiosa e che ha ripreso ad alzare la voce.  E da lunedi’  scorso, forse, ha cominciato, memore delle tanti stragi e del troppo sangue versato sulle proprie strade, a trasmettere la gioia e la felicità di stare dalle parte giusta della vita. Due ingredienti base quanto mai necessari per aggregare più persone e un giorno si spera un intero popolo.

Tratto da: liberainformazione.org

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