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giordano-pippo-webdi Pippo Giordano - 20 ottobre 2013

Ci sono momenti nella storia del nostro Paese in cui rare persone hanno scritto le più belle pagine che una Nazione possa mai meritarsi. Ci sono, ahimè, altre persone che invero hanno infangato e continuano a farlo, l'onore e il decoro del Paese chiamato Italia: il Casellario giudiziale rappresenta la testimonianza di un Paese vivaio di mafiosi e pregiudicati di ogni genere. Ci sono, poi, eroi fatti assurgere nell'Olimpo non per meriti di grandi virtù, ma perché nulla disse, nulla vitti e nulla sintiu in ordine a tal Marcello Dell'Utri: l'appartenenza dell'Eroe a Cosa nostra fu elemento gratificante del “titolo onorifico”. Ci sono i figli di Totò Riina e Bernardo Provenzano che, trovando ospitalità nelle mass media, dichiarano d'essere orgogliosi dei loro genitori e del cognome che portano. Esternazione plausibili se non fosse che i loro padri, sono stati causa di lutti e rovine di intere famiglie. E appare incomprensibile e quindi non giustificabile che i rampolli della dinastia criminale non abbiano sinora speso una sola sillaba per condannare le gesti criminali della mafia. I figli di Riina e Provenzano non hanno ritenuto di immedesimarsi nel dramma e nella solitudine dei loro coetanei che videro i propri cari ammazzati per volere dei padri-mafiosi: oggi con con ostentata spavalderia i figli urlano il proprio orgoglio di appartenenza.

Di converso, abbiamo assistito al sacrificio di una donna che non solo non ha urlato il proprio orgoglio di appartenenza, per essere stata figlia, sorella e marito di mafiosi, ma non ha esitato a rompere quel filo sottile di crudele omertà che ammantava ed ammanta la 'ndrangheta. Questa donna, Lea Garofalo, conoscitrice e addentro alle cose di mafia, denunciò il marito ben sapendo che il suo gesto avrebbe potuto costarle la vita, eppure diede ragione al suo cuore colmo di legalità, piuttosto che alla vanagloria di appartenere con tutta la sua anima ad un uomo di 'ndrangheta. E' notorio che la vita è un viaggio, che inizia con una partenza, si fanno tante soste, si vivono emozioni, amori e drammi ma poi finisce laddove è iniziato, e Lea Garofalo sapeva benissimo che il suo gesto avrebbe anticipato la fine del suo viaggio. Ma questo non le impedì di scrollarsi addosso quel cognome intriso di mafiosità: di scrollarsi addosso quel maledetto puzzo di disonore che il proprio marito le infliggeva ogni dì. Scelse la via dell'onestà, scelse di dare a sua figlia Denise, appena adolescente, l'orgoglio e l'amore di mamma, spezzando le odiose catene che la tenevano legata ad un mondo che non le apparteneva. Altro che vantarsi del cognome che portava, gentile signora Lucia Riina e gentile signor Angelo Provenzano. Il martirio di Lea dovrebbe farci riflettere: Lea ci ha lasciato in eredità una lezione di vita, una lezione d'amore filiale e un lezione di onestà, lealtà e rettitudine. Lea Garofalo si astenne da azioni riprovevoli verso il marito. Invece costui, come un vigliacco, ne ordinò la morte: morte che raggiunse Lea nel modo più barbaro che una mente malata possa mai immaginare. Fu torturata, seviziata ed infine bruciata. Nemmeno un barlume di cristiana umanità spinse il marito padre della figlia di Lea a concederle una sepoltura. Il marito di Lea non permise nemmeno che sua figlia Denise potesse piangere innanzi alla tomba della madre. I resti del povero corpo di Lea Garofalo furono gettati in un tombino e poi rinvenuti. Il marito di Lea Garofalo si faceva chiamare “uomo d'onore”. Se questi sono uomini d'onore allora hanno ragione i figli dei boss di essere orgogliosi del cognome che portano. Gli italiani onesti, invece, sono orgogliosi di chinarsi innanzi al sacrificio di Lea Garofalo: di inchinarsi a dei poveri resti che somigliano appartenere ad un gigante. Sì! Un gigante che dovrebbe essere la pietra miliare degli insegnamenti con cui far crescere i nostri figli.

Tratto da: 19luglio1992.com

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