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rando-enza-webdi Lucia Lipari - 9 agosto 2013
Avvocatessa, politica, impegnata nel mondo dell’associazionismo. Enza Rando (foto) racconta le sue battaglie, da vicesindaco di Niscemi nella seconda metà degli anni ’90, a legale di Libera nei principali processi mafia degli ultimi anni.

Nella sua esperienza il servizio per il bene comune passa dall’impegno politico in Sicilia, a Niscemi negli anni ’90. Già vicepresidente di Avviso Pubblico, quanto ha inciso nel suo percorso umano l’attivismo in politica?
La Politica come servizio è l’arte più nobile. L’esperienza politica, la partecipazione a ricostruire una nuova comunità nella mia città, ha segnato la mia vita, mi ha insegnato a non essere mai indifferente. L’impegno politico mi ha insegnato l’ascolto delle persone, mi ha insegnato l’etica della responsabilità, ho sempre assunto le decisioni politiche amministrative avendo come unico orizzonte l’interesse pubblico e questo ha permesso di comunicare ai cittadini che quando la politica guarda l’interesse pubblico anche il volto, il destino di un territorio può cambiare.

Ci racconta di quando si batteva per la realizzazione di scuole a Niscemi e occupava di notte i cantieri?
Dopo lo scioglimento del consiglio comunale di Niscemi per infiltrazione mafiosa, abbiamo chiesto ad una persona perbene, Totò Liardo, di candidarsi come sindaco di tanti sognatori e giovani che volevano mettersi in gioco. Vinte le elezioni, sono diventata vicesindaco con numerose deleghe ma ho chiesto ed insistito per avere le deleghe meno ambite alla cultura e alla pubblica. Vi erano 5 edifici scolastici la cui costruzione, iniziata diversi anni prima, non era mai stata completata, doveva rimanere “quasi completata”, e quindi i bambini e i ragazzi di Niscemi erano costretti a frequentare la scuola con i doppi turni. Sentivo forte la responsabilità degli amministratori che non avevano garantito questo elementare diritto ai bambini. A fronte di lavori che venivano eseguiti, trovavo sempre nuovi danneggiamenti ad opera della mafia, che si sentiva sfidata da una giovane donna in politica. Andati dal Prefetto per chiedere di vigilare le scuole perché, a mio parere, le scuole sono il presidio di legalità di una città,  ci rispose che non era possibile, non vi era una legge dello stato che permettesse la vigilanza delle scuole, non erano luoghi a rischio.

Cosa fece allora?
Proposi allora a Liardo di andare a dormire lì di notte e sempre noi vigilare e presidiare durante il giorno le scuole per impedire altri danneggiamenti. La sera portammo i materassi e i viveri ed iniziammo a fare i turni, il quartiere cominciava a sentire quegli edifici abbandonati come qualcosa che apparteneva loro. La gente ci portava il caffè, ci cucinava…anche le riunioni della giunta si facevano negli edifici scolastici, i ragazzi più adulti, le associazioni di volontariato, facevano i turni per seguire i bambini del quartiere a fare i compiti, la sera si proiettavano film, l’edificio che prima era considerato un luogo abbandonato e quindi di nessuno, ad un tratto diventava la loro agorà, il luogo di incontro e quindi tutti lo sentivano loro e lo custodivano, un’esperienza di custodia e presidio civile. Certamente è stato faticoso e ci siamo assunti una grande responsabilità, però abbiamo completato la costruzione di 5 edifici scolastici, li abbiamo consegnati ai bambini, ma abbiamo fatto anche un’altra cosa, abbiamo dimostrato ai bambini che un amministratore non deve fare promesse, ma deve praticare la propria responsabilità Gli edifici scolastici sono stati aperte, e la cultura mafiosa è stata messa in crisi.

Lei è la responsabile dell’Ufficio Legale Nazionale di Libera. Qual è il plusvalore che da alle costituzioni di parte civile di Libera nei processi italiani più significativi?
La Trattativa Stato-Mafia a Palermo, Minotauro a Torino, Caffè Macchiato a Napoli, Meta a Reggio Calabria, a Palermo il processo al senatore D’Ali e a Trapani per Mauro Rostagno, solo per enumerarne alcuni… Nel corso degli anni abbiamo pensato che volevamo esserci nei luoghi in cui si amministra la giustizia, accanto ai tanti bravissimi e straordinari magistrati che concorrono  a rendere vivibile questo Paese, perché scavano per cercare le verità;  volevamo esserci nei processi in cui gruppi mafiosi, ‘ndranghetisti, camorristi, sono processati per aver sottratto ricchezza e speranze nei loro territori, uccidendo, accaparrandosi risorse pubbliche. Abbiamo quindi voluto esserci in alcuni processi che per noi sono significativi nei territori in cui si celebrano. E’ importante guardare in faccia e capire le grandi responsabilità di coloro che vengono processati e l’enorme danno che hanno fatto alla società, comunità Paese. Ci sono state tante importanti e bellissime esperienze che abbiamo avuto in questi anni, studenti che hanno affittato pullman, insieme agli insegnanti, per seguire il processo a Milano e stare accanto ad una coraggiosa e straordinaria ragazza, Denise, alla quale era stata uccisa la madre Lea Garofalo. Penso che questo sia uno straordinario esercizio di democrazia partecipata. Ancora abbiamo fatto diversi progetti con le scuole università, proprio per sollecitare la cultura della partecipazione anche ai processi, e questo è straordinario, specialmente in territori, quali la Calabria, la Sicilia, la Campania. Per esempio a Torino stiamo seguendo il processo Minotauro. Al Nord si cerca di negare, di sottovalutare l’infiltrazione ed il radicamento delle mafie e c’è molto ritardo nel comprenderne pienamente il fenomeno. Non posso dimenticare uno studente che al processo della Trattativa, alla fine della udienza, mi ha detto che aver visto gli imputati in aula, o nelle telecamere, perchè video collegati, è stata per lui aver visto in faccia i mafiosi, Riina, Bagarella, Brusca e altri, in maniera diversa da quando si guardano in TV, perché alcune volte, purtroppo feroci assassini,  ci sembrano lontani, ci sembrano lontani da noi, invece sono vicini.

E’ l’avvocato di Denise, la figlia di Lea Garofalo, un caso complesso dai molteplici colpi di scena. Cosa le ha lasciato da donna e da professionista?
E’ molto complicato dire in poche parole cosa può lasciare dentro aver conosciuto una donna coraggiosa come Lea e averla incontrata qualche giorno prima di essere uccisa. Le sue parole  esprimevano tanta voglia di vita. Erano richieste normali, quelle di una donna che si sentiva sola, ma aveva tanta dignità e chiedeva solo di essere accompagnata a costruirsi un futuro insieme a Denise. Non chiedeva regali, favori, ma il diritto di vivere. Lea era consapevole di essere condannata a morte, ma chiedeva che lo Stato arrivasse prima, per proteggerla. Accompagnare Denise, in questi anni, dopo l’omicidio della sua mamma, mi ha insegnato ancora di più a conoscere Lea, ho visto il volto del coraggio di una ragazza che non si piega, che ha lottato per conoscere la verità, anche la più cruda, la più dolorosa. Denise ha ascoltato a testa alta e con immenso dolore le parole riferite nel corso del processo quando Venturino ci ha raccontato come ha visto Lea essere stata uccisa dai Cosco (padre e zio di Denise)  e quando ci ha raccontato come è stato bruciato il suo esile corpo, esile anche perché era sola nella sua battaglia di legalità. Non posso incontrare Denise normalmente per il suo stato di testimone di giustizia, sottoposta a programma di protezione, e mi spiace molto perché ogni volta che la incontro, la trovo sempre più adulta, una giovane adulta, triste ma con tanta voglia di camminare per cercare e trovare giustizia e per raccontare il sacrificio della sua mamma. Quando nella professione si mette l’anima i fatti e le cose si leggono in maniera diversa, con gli occhi della vicinanza e dell’accompagnamento a donne così speciali che hanno avuto il coraggio civile di rompere con la cultura imposta loro dalla nascita. Ecco con Lea e Denise ho guardato in faccia quanto ognuno di noi deve fare di più.

C’è una storia che più di altre ha fatto propria? Ci parla di Ninetta Burgio?
Ninetta Burgio penso sia stata una donna, una mamma dolce, giusta e con un grande coraggio,  tanto grande. Una donna che per 12 anni ha cercato suo figlio Pierantonio, quando una sera di agosto non è più ritornato a casa. Ricordo il suo appuntamento quasi annuale con la Procura di Caltagirone a cercare la verità sulla scomparsa del figlio. Andava in commissariato per chiedere notizie,  andava nelle trasmissione nelle quali ci regalava parole piene di umanità, ci esortava alla responsabilità, ci diceva che cercare la verità sul suo caro giovane Pierantonio non era un problema solo suo ma della città,  quando non si conosce la verità il Paese si impoverisce, senza verità non si cammina. Questo era il pensiero di Ninetta. Pensate che Pierantonio è stato ucciso da 4 giovani assoldati della mafia e uno di loro era un alunno di Ninetta, il collaboratore (che ha ucciso Pierantonio) ci ha raccontato, al processo, che ha deciso di collaborare dopo aver ascoltato l’appello di Ninetta, sua insegnante. Ninetta aveva dentro il suo cuore una grande sofferenza ma portava con sé una grande  umanità, il “perdono”. La vita è sorriso diceva.

Tratto da: liberainformazione.org

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