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chinnici-dimatteodi Pippo Giordano - 2 agosto 2013
La ciclicità degli avvenimenti mafiosi è davvero impressionante. Nel corso dei decenni dal mondo mafioso e da una parte del mondo politico abbiamo visto episodi ricorrenti il cui fine era ed è frenare, se non rendere vana, l'azione della Magistratura nei confronti dello strapotere di Cosa nostra. Talvolta, e ahimè molto spesso, vuoi per soddisfare interessi dei mafiosi e dei politici medesimi, le Istituzioni non sono state in grado di frenare l'azione violenta dei mafiosi. Nel caso del PM palermitano Nino Di Matteo colgo un'agghiacciante analogia con l'attentato d Rocco Chinnici. Ovviamente, il mio augurio è che non ci sia un epilogo funesto, come è avvenuto per il giudice Chinnici. Cos'è che lega Di Matteo e Chinnici? Li lega “ l'avvertimento”, ma con un fine diverso. Dalla morte di Rocco Chinnici a trarne beneficio furono i soli uomini d'onore. L'intento del gotha mafioso, ma in particolare dell'emergente Totò Riina, fu quello d'impedire a Chinnici di proseguire l'azione di contrasto alla mafia: contrasto che vide un metodo nuovo con la nascita del primo pool antimafia, nel quale confluirono Falcone, Di Lello e Borsellino. Mentre ora per Di Matteo gli interessi di una parte delle Istituzioni appaiono preminenti rispetto a Cosa nostra.

Ritengo che le minacce di morte nei confronti di Di Matteo, annunciate con lettere anonime, non siano partorite dalla mente di mafiosi. Può darsi che vi siano cointeressi, ma le minacce epistolari non fanno parte del modus operandi di Cosa nostra. Ed ecco perché qualche mese fa ho definito le minacce una “bufala”. Cosa diversa invece è la segnalazione di un confidente che dichiara alla Polizia di essere venuto a conoscenza dell'arrivo a Palermo di una quantità di esplosivo da utilizzare per compiere un attentato a Nino Di Matteo. Il cenno all'agghiacciante analogia Chinnici-Di Matteo sta proprio nelle parole del “confidente”. Costui affermerebbe che l'esplosivo è “arrivato”: per Chinnici, invero, la telefonata fatta da un cittadino libanese (poi da me rintracciato e arrestato) a un funzionario della Criminalpol di Palermo, avvertiva che da lì a pochi giorni la mafia avrebbe fatto esplodere un'autobomba a Palermo. All'epoca, i vertici dell'antimafia non “capirono” che il destinatario dell'autobomba fosse proprio il giudice Chinnici. Io fui informato della telefonata ad attentato compiuto, ma anche se l'avessi saputo prima di certo, essendo un semplice sottufficiale, non avrei potuto influire sul modo di dirigere l'antimafia. Insomma, la “cecità” dolosa o negligente è stata prodromo di episodi luttuosi. Per esempio, mi riesce davvero difficile capire come un ministro dell'Interno, Nicola Mancino, non conoscesse Paolo Borsellino, collega-amico di Giovanni Falcone, titolare delle indagini sulla strage di Capaci. Ma, per ritornare a Chinnici e Di Matteo, giova evidenziare che il primo aveva avviato un nuovo metodo di lotta alla mafia e non solo, atteso che i legami tra Cosa nostra e politici erano oramai ampiamente noti. E quindi sia l'ala militare che “menti raffinatissime” dovevano fermarlo. Il secondo, ovvero Di Matteo, con le indagini sulla trattativa Stato-mafia rappresenta la continuità di Chinnici, Falcone e Borsellino. Di Matteo è il titolare di quell'interruttore capace di accendere la luce di verità sulla trattativa Stato-mafia. Per anni un black-out ha impedito che le stanze della verità venissero illuminate per farci conoscere quali interessi diedero luogo alle stragi del 92/93. Ed ecco che puntualmente arriva a Di Matteo “l'avvertimento” dell'esplosivo. Ma questa volta è diverso, ci sono milioni di Italiani che vogliono innalzare un bunker a tutela di Di Matteo e dell'intera Procura di Palermo: io sono uno di loro. Non vogliamo più analogie ma soltanto vivere in un Paese per bene e mi si consenta di dire che sino ad oggi non lo è. Al dottor Nino Di Matteo va tutta la mia stima e il mio ringraziamento.

In Foto: i giudici Rocco Chinnici e Nino Di Matteo

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