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comm-legge-diffdi Santo Della Volpe
Un testo di legge condiviso è necessariamente una mediazione, non può essere perfetto: ma perfettibile. Detto questo, quello proposto dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati per la riforma della Legge sulla Diffamazione a mezzo stampa, è un testo che presenta alcune importanti innovazioni, alcune lacune ed alcune incongruenze che vanno colmate e corrette. Innanzitutto va rilevato che vi sono aspetti positivi nelle modifiche proposte. In primo luogo l’abolizione del carcere per i giornalisti accusati di diffamazione. Bene.

Vi è poi la esclusione dei blog dal controllo di questa legge che dovrebbe riguardare solo i siti giornalistici sul web registrati come organi di informazione presso il Tribunale. Compare infine, ed è una innovazione positiva, l’inclusione nella legge di una forma di deterrenza per le Querele temerarie, con la presenza di una forma di “multa” per il querelante decisa dal giudice. Ma , e questo e’ il primo punto di criticità che va superato, la cifra proposta, che a scanso di precisazioni sembra andare da 2.000 a 20.000 euro, e’ troppo bassa per essere una vera deterrenza. Ai boss mafiosi o ai potentati economici che intentano querele in sede civile con richieste milionarie di risarcimento solo per impedire inchieste giornalistiche, 20mila euro sono ben poca cosa, pagabili in ogni caso, un rischio che possono correre tranquillamente. Allora il tetto va alzato e di molto: oppure si introduca un criterio di proporzionalità tra la cifra richiesta dal querelante temerario ed il risarcimento da dare se la causa intentata viene riconosciuta come manifestamente infondata.

C’è poi la questione della rettifica. Nella modifica della legga si introduce giustamente l’obbligo della rettifica, a difesa dei cittadini che si sentono diffamati: ma si esclude il commento del giornalista o direttore alla rettifica richiesta. Perché non lasciare la discrezionalità al giornalista unita all’estinzione del procedimento penale e/o civile? In poche parole basterebbe introdurre per legge che la rettifica pubblicata senza commento chiude la vicenda con soddisfazione del “diffamato”. Ma se il giornale ha solide prove in mano a sostegno di quanto scritto in precedenza, può tranquillamente controreplicare, ben sapendo che in questo caso si va poi in Tribunale a “vedere le carte”. Infine altre due questioni del testo di modifica lasciano perplessi. Innanzitutto, rispetto al testo Costa inizialmente usato come base di partenza della discussione, è sparito il tetto di 30.000 euro come tetto massimo del risarcimento che dovrebbe pagare il giornalista ritenuto “diffamatore”. Si lascia libera discrezionalità al giudice. Ma in questo modo aumenta il peso di quella “spada di Damocle” che va pesare sul giornalista che conduce una inchiesta delicata, con nomi pesanti e potenti, il quale sa di poter incorrere in una vera e propria batosta economica ai suoi danni.

Vale a dire che la querela temeraria, nel testo di legge, viene introdotta e sanzionata da un lato, ma la si lascia inalterata dall’altro lato, lasciando al giudice la possibilità di un risarcimento da centinaia di migliaia di euro. Non è forse un deterrente alle inchieste ed alle notizie scomode, invece che un un deterrente alle “macchine del fango” che andrebbero colpite alla radice con dure sanzioni deontologiche e professionali? Se il Giurì proposto inizialmente è apparso ridondante (e può esserlo) dobbiamo chiederci come intervenire nell’ambito della professione giornalistica per sanzionare i comportamenti scorretti.

La legge prevede solo multe salate? È perché la multa è così bassa per le querele temerarie mentre non ha un tetto nel caso di condanna del giornalista? Forse andrebbe almeno scritto nella legge, se non si vuole fissare un tetto, che la sanzione pecuniaria al giornalista deve essere proporzionale al reddito del giornalista stesso, almeno per salvaguardare i giovani cronisti precari che spesso per 5 euro scrivono articoli in terre di mafie e che rischiano querele e multe capaci di metterli sul lastrico. Per chiudere il cerchio delle sanzioni, va affrontata da subito, una discussione per rafforzare l’Ordine dei giornalisti, per riformarne il ruolo in senso deontologico, eliminandone gli aspetti più vecchi e desueti.

Per concludere, esiste una questione aperta per la responsabilità dei direttori di testata che il testo di modifica della legge propone di spostare, a discrezione del giornale, su un giornalista o dirigente, che si faccia carico appositamente di questa delega di responsabilità. Può essere anche una soluzione: ma non dimentichiamo che la responsabilità del direttore di testata ha un valore anche morale ed editoriale, di copertura ed approvazione del lavoro del cronista; il lavoro giornalistico, ricordiamolo, è una opera collettiva.

Se il giornalista fa una inchiesta oppure scrive una notizia importante quanto scomoda, deve sapere che il giornale, intero, dal direttore al collega di scrivania, approva ed incoraggia il suo lavoro prendendone la responsabilità nei suoi vertici editoriali. Altrimenti il rischio è l’isolamento, rischioso dal punto di vista delle conseguenze personali ed economiche. Ci aspettiamo che nell’ora della approvazione della nuova legge sulla diffamazione i legislatori tengano conto di queste osservazioni e proposte.

E ci aspettiamo interventi che tengano sempre presente il punto di partenza di queste proposte: il diritto dei cittadini ad essere informati correttamente e senza diffamazione si deve coniugare con il diritto – dovere dei giornalisti ad informare senza alcun condizionamento ed in piena libertà di coscienza, nel rispetto della propria deontologia professionale.
29 luglio 2013

Tratto da: liberainformazione.org

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