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posto-blocco-cc-web"Mentre colleghi, stampa, sindacati e cocer si voltano dall’altra parte"
di Giorgio Carta - 7 luglio 2013
Roma. Solo in un Paese malandato come l’Italia può passare sotto silenzio un processo come quello imbastito oggi contro il maresciallo dei carabinieri Saverio Masi.
Molto brevemente, per i pochi che ancora non lo sanno (ma anche per i molti che sanno e che si voltano dall’altra parte), Saverio Masi è il sottufficiale dei carabinieri che ha denunciato i superiori per averlo ripetutamente ostacolato nella ricerca di boss mafiosi del calibro di Provenzano e Messina Denaro. E’ stato testimone d’accusa nel processo Mori e lo sarà in quello sulla trattativa Stato-Mafia. Infine, il maresciallo Masi è il caposcorta del PM di Palermo Nino di Matteo, il magistrato più a rischio di attentati del momento.

Basterebbe uno solo di questi ruoli (accusatore, testimone o caposcorta in terra di mafia) per suscitare la più incondizionata solidarietà ad un servitore dello Stato così esposto. Invece, no. In Italia può succedere che questo carabiniere sia messo sotto processo per una sanzione del codice della strada da 106 euro, subita in occasione di un servizio svolto con una vettura privata.

Masi, infatti, deve oggi rispondere di falso e di tentata truffa perché, secondo l’accusa, avrebbe falsificato un atto del proprio ufficio per indurre in errore la Polizia stradale e per farsi annullare il verbale. Non rischia il carcere, ma una condanna che lo farebbe destituire dall’Arma dei carabinieri, come farebbe comodo a molti, soprattutto come monito a chi intenda seguire il suo esempio.

Da avvocato che ha studiato gli atti del processo, posso affermare senza tema di smentite (e vi prego di credermi) che il maresciallo Masi non ha falsificato la firma di alcun superiore né ha indotto in errore alcun ente, giacché è comprovato che egli fosse realmente in servizio al momento dell’infrazione stradale.

I superiori sentiti in giudizio, però, hanno affermato che l’utilizzo della vettura privata fosse vietato perché non autorizzato gerarchicamente e non menzionato nel relativo memoriale di servizio né nel foglio di marcia.

Chiunque abbia svolto attività di polizia giudiziaria è in grado di giudicare l’attendibilità di tali testimonianze.

Tanto premesso, è significativo e tutt’altro che insolito in Italia che un accusatore dei poteri forti incappi poi in un processo che abbia l’effetto di fermarlo o, quanto meno, di screditarlo. Il copione si ripete e si rinnova la prassi nauseabonda dell’isolamento mediatico, istituzionale ed umano del singolo che ha osato sfidare il Sistema. Infatti, nessuno si indigna né protesta in favore di Masi. Nessun collega (tranne qualche eccezione), eppure i carabinieri sono 112.000; nessun giornale, tranne il Fatto quotidiano; nessun sindacato, tranne il COISP di Maccari; nessun COCER. Tutti sanno del processo, ma si voltano dall’altra parte.

In Italia, gli eroi vivi si abbandonano, ma si celebrano solennemente quelli morti, magari dimenticando di avere concorso – con parole, opere e soprattutto omissioni – alla loro eliminazione. Nessuno vuole avere a che fare col fesso di turno che lotta da solo per i diritti di tutti rimanendone schiacciato, proprio grazie al suo isolamento.

Io a questo copione già scritto non ci sto e vi chiedo di indignarvi in tanti. Il Maresciallo Masi ha combattuto e combatte per migliorare il nostro sciagurato Paese e noi tutti dobbiamo sostenerlo passo passo.

I "mi piace" su facebook non bastano più. Servono azioni concrete come presenziare alle udienze del processo, che è pubblico, e divulgare la vicenda umana di Saverio Masi.

Non vi chiedo altro, in fondo, che di comportarvi da esseri umani con un cuore ed una coscienza. Se la avete.

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