di Liana Milella - 18 marzo 2013
Due azioni disciplinari in dieci giorni. Una dalla procura generale della Cassazione, l’altra dal Guardasigilli Severino. Notificate quando non ha ancora deciso se rientrare o restar definitivamente fuori dalla magistratura. I colleghi e il governo “processano” Antonio Ingroia. Contestano le sue esternazioni. Quella contro la Consulta (definì “politica” la decisione sulla trattativa Stato-mafia); quella, addirittura vecchia di un anno, contro chi (Grassi) in Cassazione era intervenuto sul processo Dell’Utri. “Un’altra cultura” si era limitato a dire.
Ora. Ingroia si è sicuramente fatto molti nemici in questi anni, alcuni anche di grande rilievo. Di certo il Colle non ha gradito le famose intercettazioni con l’ex ministro Mancino su cui la Corte costituzionale gli ha dato ragione. Di certo c’è chi gli imputa la morte di Loris D’Ambrosio, il consigliere giuridico dello stesso Napolitano intercettato anch’egli con Mancino. Di certo lo detestano Berlusconi e Dell’Utri. Di certo ce l’ha con lui la mafia. Sicuramente non lo amano quelli di Md perché ha rotto troppi tabù, e ce l’ha con lui l’Anm perché è troppo dirompente il suo comportamento rispetto a un cliché prestabilito. La discesa in politica è stata perdente, il Pd lo ha avversato preferendo un modello di magistrato come Grasso dal comportamento ben più istituzionale. Ma da qui ad armare contro Ingroia i fulmini della disciplinare ce ne corre. Soprattutto senza attendere che lui faccia la scelta della vita, se restare magistrato o scegliere definitivamente la politica. Sembra quasi che lo si voglia invitare a optare per forza per la seconda opzione, pena un calvario disciplinare. Questo, forse, non è proprio politically correct.
Post scriptum. Aggiungo un’ulteriore riflessione. I magistrati che non hanno in simpatia Ingroia e che cercano di spingerlo a lasciare la magistratura dovrebbero riflettere sul fatto che una volta ristetti per lui gli spazi di espressione, essi resteranno ugualmente ristretti per tutti. Questa, strategicamente, non è affatto una bella pensata.
Tratto da: milella.blogautore.repubblica.it
In foto: la giornalista Liana Milella
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