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giordano-pippo-citydi Pippo Giordano - 27 gennaio 2013
Era una bellissima giornata, radiosa ed ero finalmente felice. Dopo tantissimo tempo, cosa rara, potevo permettermi di fare shopping con mia moglie e mia figlia. La mattina trascorre gioiosa e spensierata: m'ero dimenticato dei mafiosi, di Cosa nostra, dei criminali. Ultimati gli acquisti, saliamo sulla mia potente auto, una Renault 4 di colore rosso e c'incamminiamo verso casa.

Dopo aver percorso un centinaio di metri, sento che un camioncino a suon di clacson mi chiede strada; mi porto sulla mia destra, e lascio lo spazio ma il conducente si appiccica alla mia vettura ed inizia a suonare a ripetizione. Sporgo il braccio dal finestrino e l'invito a superarmi. Niente da fare, continua a starmi attaccato e a suonare. A quel punto accelero ed egli fa lo stesso. Freno di botto, avendo cura che non mi tamponi, ed egli è costretto ad una brusca frenata che fa cadere per strada numerose casse di bibite. Dopo aver udito il fragore delle bottiglie rotte, m'accorgo che il camionista invece di fermarsi e raccogliere i cocci di vetro, si mette al mio inseguimento e mi raggiunge al semaforo di via Notarbartolo. Sia l'autista che l'altro passeggero, brandendo due vistosi bastoni di ferro si avvicinano con gli occhi carichi di rancore e rabbia. Intanto, mia figlia inizia a piangere, mia moglie cambia umore ed io calmo guardo il più adulto dei due; apro il finestrino della Renault e si accorge che mezzo alle mie gambe c'era la pistola. Entrambi indietreggiano e dicendo “Scusassi!” ritornano sul loro camioncino e spariscono. Noi ripartiamo, ma ormai la giornata era stata maledettamente rovinata.

Altro episodio. Ero solo e stavo facendo rientro a casa, sempre con la Renault 4 ed imbocco una stradina stretta e lunga una cinquantina di metri per recarmi alla Kalsa, ove avrei dovuto incontrare un “confidente”. Sono quasi alla fine della stradina che una vettura mi si para davanti ed il conducente, non potendo continuare la marcia, mi fa segno di indietreggiare. Faccio capire all'uomo che oramai io ero già arrivato nello slargo e quindi era più agevole che lui tornasse qualche metro indietro. Nulla da fare. Inizia a sbraitare e scende dall'auto avvicinandosi minaccioso: era un pezzo d'uomo e faceva davvero paura. Man mano che si avvicinava, imprecava che se non fossi tornato indietro m'avrebbe rotto la faccia. Ora, siccome era un periodo per me maledetto a cause delle minacce ricevute, viaggiavo sempre “cu pezzu di ferru” (la pistola) in mezzo alle gambe. L'energumeno, spiazzato dal mio sangue freddo si avvicina per aprire lo sportello della mia auto, ma appena ha visto la pistola in mezzo alle mie gambe e già impugnata, fa uno scatto indietro e spaventato ritorna sui suoi passi; sale sulla sua vettura e spostandola mi consente di oltrepassare la strettoia. A nulla sono valsi i suoi saluti e sorrisi. Non gli ho nemmeno risposto.
Ora il terzo episodio, grottesco. Ero già stato cacciato via da Palermo e spesso, in gran segreto, ci tornavo per vedere i miei genitori o compiere qualche servizio sotto copertura con Cassarà. Utilizzavo quasi sempre il treno perchè mi dava la possibilità di scendere anche nelle stazioni prima di Palermo. Insomma lo ritenevo più affidabile per la mia sicurezza. Giova dire che la mia generazione era affettuosamente legata al treno “Freccia del Sud”. Rappresentava il mezzo per realizzare i nostri sogni di siciliani, ovvero raggiungere le nostre Radici. E, quando si arrivava innanzi alla nostra Isola, il cuore iniziava a gioire. Poi, il rito dell'arancina sul traghetto, faceva raggiungere il premio agognato: solcare da li a poco la nostra amata Sicilia. Giunto a Messina la mia carrozza si svuota ed io rimango da solo nello scompartimento. Il treno riparte ed io estasiato guardo la bellezza della campagna: era una mattinata “siciliana”, ossia, piena di sole ed i colori della campagna esplodevano in una variopinta tela dipinta da felici mani. Il treno si ferma a Barcellona Pozzo di Gotto e riparte. Ad un tratto un uomo entra nel mio scompartimento e dice: “Sposti la sua valigia, che devo mettere la mia! Lo guardo e abbozzando un lieve sorriso, dico: “Scusi ma c'è tanto posto libero”! “Si, ma a me piace quello”.
Riflessione istantanea. Mi sovviene che a Barcellona c'è il manicomio giudiziario, colloco il quartiere d'origine del tizio, per aver capito le inflessioni, nella Kalsa e mi son detto: “Se accetto la sua richiesta il mio viaggio per Palermo sarà un inferno”. Quindi mi alzo e protendo le braccia per far immaginare che avrei aderito, ma in realtà il mio proposito era ripristinare la legalità, magari dicendo che ero un poliziotto. Nel fare questo gesto il tizio nota l'arma che tenevo occultata sotto la camicetta. All'improvviso cambia atteggiamento invitandomi a desistere di spostare la valigia ed inizia a parlare dicendomi che era appena uscito dal manicomio di Barcellona. Allora, gli ho dato corda, facendogli intendere che conoscevo tutti i mafiosi del suo quartiere (cosa peraltro vera). Insomma, mi aveva scambiato per un amico degli "amici", tant'è che giunti a Palermo a tutti i costi mi ha trasportato la valigia. Mio fratello che m'aspettava, si è subito meravigliato che io fossi senza bagagli. Quell'uomo, nel salutarmi, voleva rendersi ancora utile.

Sono tre episodi dove l'arroganza era l'espressione del vivere quotidiano.

Tratto da: 19luglio1992.com

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