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quirinale-colle-bigdi Susanna Crispino - 6 dicembre 2012
Palermo. Il 16 luglio scorso il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sollevato formale conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte Costituzionale "avverso la decisione della procura della Repubblica di Palermo di valutare la rilevanza di conversazioni del Presidente della Repubblica e di mantenerle agli atti del procedimento penale, perchè nel contraddittorio tra le parti, fossero successivamente sottoposte alle determinazioni del giudice ai fini della loro eventuale acquisizione".

Sin da subito la Procura di Palermo ha chiarito che quelle intercettazioni, indirette e casuali, erano state ritenute non rilevanti ai fini del procedimento e come tali non utilizzabili, ma che la decisione di disporne la distruzione spettava al giudice in camera di consiglio, così come previsto dall'art.269, 2° comma del c.p.p. .Il 4 dicembre la Corte Costituzionale con una sentenza prevedibile ma singolare, in accoglimento del ricorso, ha dichiarato che non solo il tema della rilevanza o irrilevanza non è di competenza del PM, ma che i PM avrebbero dovuto applicare l'art. 271, 3° comma, c.p.p., e chiedere la distruzione delle intercettazioni senza che avvenisse un contraddittorio tra le parti. Insomma, la Corte ha bacchettato la procura di Palermo per aver applicato la legge e per non aver interpretato la legge in senso conforme con riferimento al Capo dello Stato! Da una lettura delle norme richiamate appare evidente che, in realtà, l'art. 271, nel prevedere i casi in cui le documentazioni delle intercettazioni vadano distrutte, non contempla affatto quella di intercettazioni riguardanti il Presidente della Repubblica, ma solo quelle eseguite fuori dei casi della legge o quelle coperte da segreto professionale con riferimento a categorie tassativamente individuate.  Ma quale errore si imputa ai PM? Quello di aver effettuato valutazioni sulla rilevanza delle intercettazioni e di non averne chiesto al GIP l'immediata distruzione? Ma se i PM, proprio per  tutelare la riservatezza delle conversazioni del Capo dello Stato, hanno ritenuto di evitare che in un contraddittorio con tutte le parti del procedimento il contenuto di quelle conversazioni venisse divulgato, la decisione di inutilizzabilità non costituisce essa stessa garanzia delle prerogative del Capo dello Stato? E ammettiamo che fosse stata chiesta al GIP l'immediata distruzione delle intercettazioni: cosa avrebbe dovuto fare il giudice? Applicare una norma non corrispondente al caso concreto e violare la procedura prevista dall'art.269 ? E cioè, il giudice avrebbe dovuto disporre la distruzione delle intercettazioni escludendo la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti (violando la procedura prevista dall'art. 269, 2°comma), e favorire una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 271 in cui non è contemplata la figura del Presidente della Repubblica, e quindi, di fatto, colmando un vuoto normativo? Ma non si tratta, forse, di un controllo di costituzionalità diffuso, non previsto nel nostro ordinamento, che invece prevede un controllo di costituzionalità accentrato in un unico organo, ovverosia la Corte Costituzionale?
Con l'auspicio che le motivazioni siano più illuminanti sul principio espresso, emerge la preoccupazione che questa sentenza abbia sancito una vera e propria ridistribuzione nei rapporti tra poteri dello Stato, così come previsto dalla nostra Carta Costituzionale.

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