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targa-webdi Susanna Crispino - 23 giugno 2012
Dopo un mese dalla strage di Capaci e poche settimane prima di morire, il 25 giugno 1992, Paolo Borsellino intervenne al dibattito organizzato dalla Rete, dal titolo "Ma è solo mafia?" in cui, con tono lento ma con parole pesanti, fece intendere di aver appreso l'ignobile verità che si celava dietro la morte di Giovanni Falcone.

Più volte ribadì, nel corso del suo intervento, che gli elementi raccolti nella ricostruzione dell'evento che pose fine alla vita di Giovanni Falcone, per prima cosa doveva riferirli all'autorità giudiziaria. Paolo denunciò l'isolamento di Giovanni Falcone ma anche il suo altissimo senso delle istituzioni, talmente radicato in lui da infondergli la convinzione di poter proseguire il suo lavoro anche dopo che il CSM affidò la guida del pool antimafia ad Antonino Meli. Disse Paolo Borsellino "...si aprì la corsa alla succesione all'ufficio istruzione al tribunale di Palermo. Falcone concorse, qualche Giuda si impegnò subito a prenderlo in giro, e il giorno del mio compleanno il Consiglio Superiore della Magistratura ci fece questo regalò: preferì Antonino Meli". Per questo non è sbagliato dire che Falcone cominciò a morire dal gennaio 1988. Paolo Borsellino difese la decisione di Falcone di andare al ministero di Grazia e Giustizia, non perchè aspirasse ad un posto privilegiato, bensì perchè da lì riteneva di poter continuare a fare la lotta alla mafia; e così fece "con la mente a Palermo".

Ascoltare oggi quelle parole di Paolo suscita rabbia e dolore, se pensiamo che dopo poche settimane toccò anche a lui la stessa sorte del collega ed amico Giovanni. Quella sera l'atrio della Biblioteca Comunale era gremito di persone, persone che applaudivano continuamente ed intensamente, quasi come se nell'aria si respirasse la consapevolezza, come se i cittadini palermitani volessero stringere a se' quell'Uomo distrutto dal dolore ma motivato dalla rabbia nella ricerca della Verità.

In questi 20 anni altri magistrati hanno portato il fardello di quell' eredità scomoda, continuando a lavorare seguendo l'esempio di Giovanni e Paolo, e continuando a cercare i mandanti occulti della strage di via d'Amelio. Forse oggi quella verità sta venendo a galla, un'inimmaginabile scenario di trattative, depistaggi, complicità e silenzi è emerso dalle indagini condotte dalla procura di Palermo. Antonio Ingroia e Nino di Matteo sono vicini all'uscita dal "labirinto degli dèi". In questi anni hanno chiesto che la società civile li aiutasse a varcare la porta della verità, perchè troppe forze spingono nel senso opposto affinchè quella verità non emerga e la porta resti chiusa. La società civile ha risposto: una parte d'Italia sempre più ampia chiede verità e giustizia, chiede sia fatta luce sui mandanti esterni, sulle responsabilità politiche, sulla nascita della seconda repubblica che "affonda i suoi pilastri nel sangue" come ha detto il procuratore Ingroia. E' la storia del nostro Paese. E' una storia che ci riguarda tutti: chi ha ucciso Paolo Borsellino? Chi ha voluto la morte di Paolo Borsellino? Chi ha preso l'agenda rossa del giudice?

Qualche settimana fa ho avuto il privilegio o forse il peso di vedere le immagini, censurate al pubblico, di via d'Amelio, subito dopo l'esplosione. Ho visto il corpo di Paolo carbonizzato, senza braccia e senza gambe, i corpi fatti a pezzi della sua scorta. Ho provato nausea. Ho visto Giuseppe Ayala muoversi indisturbato in via d'Amelio con il volto tutt'altro che sconvolto. Ho visto foto ritraenti Paolo e Pietro Giammanco dialogare senza alcuna intesa, mentre ho visto lo sguardo di Paolo cercare il suo allievo, il suo pupillo, il giovane magistrato Ingroia. Ho visto le foto del riscatto, della rivolta civile. Società civile chiedere le dimissioni di Parisi e Giammanco, scrivere sugli striscioni "Fuori i mafiosi dalle istituzioni" "Palermo dice basta, e lo Stato?". E tante immagini delle catene umane, migliaia di persone che si tengono per mano. Ho visto una Palermo rinascere, assumere una posizione risoluta, senza omertà. Una Palermo che tutti desideriamo rivedere, ma senza che siano necessarie altre stragi. I cittadini possono affiancare la magistratura nella lotta alla mafia e nella ricerca della verità, il risveglio culturale può entrare in sinergia con la repressione giuridica. Ma, come diceva Paolo Borsellino, "il vero nodo della lotta alla mafia è quello politico". Se pezzi delle istituzioni favoriscono spazi di dialogo con la mafia, se in Parlamento continuano a sedere indagati per il reato gravissimo di concorso esterno, se le più alte cariche dello Stato intervengono affinchè la legge non sia uguale per tutti, se non si pone il problema della responsabilità politica prima ancora di quella penale, ad essere debellata sarà solo la mafia militare, ma non anche la mafia dei colletti bianchi.

Sono trascorsi 20 anni da quelle stragi, 20 anni da quel 25 giugno '92 in cui ci fu l'ultimo incontro pubblico di Paolo Borsellino. Quella sera i palermitani c'erano. Dopo 20 anni in quell'atrio di casa Professa si sentirà di nuovo la voce di Paolo, sarà la sua voce a chiudere un'iniziativa importante ricca di testimonianze fotografiche, filmati, ma soprattutto dei ricordi dei magistrati che hanno lavorato al suo fianco e di Salvatore Borsellino, "lo splendido fratello di Paolo" come Caponnetto lo definì dopo un anno dalla strage. Questa volta il titolo del dibattito non sarà "Ma è solo mafia?" bensì "Non è solo mafia".

Ci potranno impedire una verità giudiziaria, ma la verità storica è che le stragi del '92 e del '93 sono state stragi di stato.

Tratto da: 19luglio1992.com

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