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La sciarpa. Quella sciarpa di seta blu e azzurra, con le strisce che vengono giù in verticale. Morbida e sottile. Perfetta per questa stagione non più calda e non ancora stabilmente fredda. Che protegge e non ti fa sudare. E soprattutto regalo di mia figlia, che mi porto con me da quattro o cinque anni neanche fosse la coperta di Linus. Io l’amo. Potrete dunque capire la mia costernazione quando, uscito dall’università e passato da un altro paio di luoghi, mi sono reso conto l’altro pomeriggio di non averla più addosso. Dove posso averla lasciata?, mi chiedevo con ansia e rabbia (verso di me). Solo in aula potevo averla lasciata, accidenti, un’aula grande aperta su un lungo corridoio ed esposta allo sguardo di tutti.
Mi consolavo pensando che avrei chiesto a mia figlia, abituale soccorritrice in queste occasioni, di regalarmene una nuova. Simile se non uguale. Ho sperato poi di essermi fatto un film tutto mio e di averla lasciata a casa. Ma in casa non c’era. Domani, mi dicevo, farò un ultimo disperato tentativo con i commessi in Facoltà. Chissà mai (chissà mai…) che qualcuno l’abbia trovata e portata da loro. Lo so, a questo punto ci starebbe a meraviglia il titolo di una rubrica di Cuore, il glorioso settimanale satirico degli anni novanta diretto da Michele Serra: “E chi se ne frega”. Avreste ragione se non fosse per il finale e per le considerazioni che mi ha suggerito.
L’indomani sono tornato in università quasi rassegnato. Erano già le due del pomeriggio. Sono andato verso la portineria, e vedendo la massa di giovani che affollavano i due cortili da tutte le parti mi dicevo “figurati”. Invece il commesso ha accennato un sorriso e ha tirato fuori la mia sciarpa ben piegata dicendomi “Sono venuti ieri degli studenti che l’avevano trovata”. L’hanno trovata in quel caos e l’hanno portata? Che orgoglio: eccoli qui i giovani d’oggi, che non a Oxford o in qualche premiatissimo collegio privato ma in una deprecata università pubblica aperta da ogni parte, al punto che l’attraversano anche mamme e bambini per arrivare prima a scuola, si comportano come civilissimi cittadini. Dove voglio arrivare? Eccomi. Che siccome sono rimasto sconvolto dall’inchiesta “Doppia curva” sulle curve di San Siro in mano alla ‘ndrangheta o ai trafficanti di droga, siccome trovo scandalosissimo quel che è emerso dall’inchiesta, e ancor più mi sembrerebbe scandaloso che la vicenda dei biglietti estorti sia stata condotta d’accordo con la Digos, come è stato dichiarato, mi è venuta candidamente un’idea, proprio a partire dalla mia sciarpa. Attenzione, non è un’idea per bonificare San Siro e dintorni (“vasto programma”, avrebbe detto De Gaulle), ma “solo” per liberare le curve. Eccola.
Se il problema per l’Inter o per il Milan è che – se non si fanno rapinare – potrebbero trovarsi duemila tifosi in meno nelle curve, facciano una cosa: intanto si felicitino (e tanto!) di non trovarsi più tra i piedi ‘ndranghetisti e criminali assortiti; e poi pensino a un altro modo per riempire le curve. I biglietti omaggio li diano cioè alle scuole, alle parrocchie, alle università, ai centri sportivi puliti, alle case della carità. Duemila giovani entusiasti di esserci e di tifare per la loro squadra li trovano di sicuro. Altro che spranghe, coltelli e pistole e cocaina. Date la responsabilità organizzativa a un centinaio di persone. Tra le migliaia di giovani volontari milanesi ci saranno di sicuro i tipi adatti, capaci di affrontare ben altre difficoltà. Il ricatto delle curve vuote o silenti si sgonfierà come un pallone. Con qualche divisa in più, e non più intimorita di andare in curva, cambierà tutto. E magari se si perde una sciarpa ve la riportano pure.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

Foto © Imagoeconomica

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