Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Quello del 29 luglio del 1983, 41 anni fa come oggi, ore 8:10 in via Pipitone Federico in pieno centro a Palermo, fu il primo attentato con utilizzo del tritolo: una strage che provocò la morte del magistrato simbolo della lotta alla mafia, Rocco Chinnici, ma anche di Mario Trapassi, Salvatore Bartolotta e Stefano Li Sacchi. Nell'auto di servizio, l'autista Giovanni Paparcuri, parzialmente protetto dalla blindatura, è gravemente ferito e privo di sensi.
"Palermo come Beirut", titoleranno i giornali all’indomani della tremenda strage.
Uno scenario apocalittico che prima di allora la nostra città- una Palermo comunque già profondamente segnata dal sangue mafioso- non aveva mai conosciuto, per vastità e potenza: sulla strada, in mezzo alle carcasse delle auto e all'acqua fuoriuscita dalle tubazioni scoppiate, si distinguono a fatica i corpi senza vita, devastati dall'esplosione.
D’improvviso, una delle zone residenziali più eleganti di Palermo si trasforma in un inferno.
Rocco Chinnici, padre del Pool antimafia, aveva una grande preoccupazione, soprattutto negli ultimi tempi, quella di poter coinvolgere in un possibile attentato un passante, un uomo della scorta o addirittura un familiare: una preoccupazione che, dopo di lui, hanno sicuramente condiviso tantissimi dei magistrati più “esposti” nella lotta alla mafia e che, proprio come lui, se avessero potuto, avrebbero chiesto che altri uomini non morissero con lui.
In via Pipitone, quel 29 luglio, in una città attanagliata nella morsa dell'afa estiva, i secondi diventano lunghi come ore, e dopo l'assordante fragore c'è un silenzio irreale su una scena irreale.
Possiamo oggi, a distanza di tanti anni, immaginare le strazianti grida di dolore, la disperazione, le sirene della polizia sempre più vicine e  gli agenti che scendono dalle volanti: sicuramente saranno rimasti impietriti davanti a quello scenario, senza sapere cosa fare. Più tardi la rabbia, il brusio, le telecamere, i curiosi, i rilevamenti, le autorità, gli amici, i parenti, alcuni cittadini.
Quella fu una delle tante ferite profonde alla coscienza civile di Palermo, e forse, proprio da quel momento, anche i cittadini più indifferenti cominciarono a riflettere...
Non più soltanto pochi piombo e polvere da sparo, era altro: quintali di esplosivo potentissimo. La scena irreale, sappiamo oggi purtroppo, si ripeterà altre volte, nel 1992.
Oggi ricordiamo l’enorme sacrificio di un Giudice, Rocco Chinnici, la cui attività non si esauriva all’interno delle aule giudiziarie, ma che, attraverso un impegno costante,  cercava di sensibilizzare l'opinione pubblica e le istituzioni, rivolgendosi, particolarmente, alle giovani generazioni nelle scuole, entrandovi dentro e incontrando gli studenti.
Quel telecomando a distanza che azionò l’innesco del tritolo e che trasformò per un giorno Palermo nella Beirut devastata dalla guerra, spazzò via tanti sogni, è vero, ma non riuscì mai a spazzare via l’orgoglio di una città che vive, pur nel dolore di tante morti, la testarda voglia di rialzare la testa e andare avanti.

Foto © Davide de Bari

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos