Egregio Direttore Giorgio Bongiovanni,
sono Michela De Iaco, madre di un adolescente e professionista nel settore della salute mentale da 20 anni.
Le scrivo perché ho letto ultimamente diversi articoli riguardo la deriva crescente in cui sembra stiano sprofondando i nostri adolescenti sia sul piano ideologico che valoriale.
Mi ha particolarmente colpita il recente articolo pubblicato dal Gazzettino di Treviso, la provincia in cui vivo, che denunciava la presenza di baby gang in città e del fermo di 21 minori di età compresa tra i 13 e i 17 anni: questi ragazzi si divertivano a vessare e derubare coetanei, sicuri di restare impuniti.
In realtà è uno dei tanti articoli e delle numerose conferenze presenti nel web che tracciano un ritratto preoccupante dei giovani che saranno i pilastri della futura società: materialisti, in balia di influencer che dettano stili di vita spesso al disopra delle comuni possibilità, ispirati dall’illusione del tutto, tanto e subito, in preda a crisi d’ansia e isolamento sociale ma allo stesso tempo schiacciati dal peso di un futuro incerto in un mondo complesso e alla deriva, inquinato e martoriato dalla follia della guerra.
Sarebbe facile classificare l’attuale condizione adolescenziale come parte di un processo fisiologico in cui convivono trasgressione e isolamento sociale, apatia e aggressività, materialismo e convinzione di ottenere la notorietà senza far fatica, ma qualcosa è cambiato rispetto alle generazioni precedenti, sono cambiati gli adulti di riferimento ed è probabilmente questo cambiamento che deve preoccuparci. Questo fenomeno riguarda tutti i ragazzi, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza o dal genere, che esprimono l’impossibilità di definirsi “io sono”, e perciò agiscono aggressività verso se stessi con l’autolesionismo o verso gli altri o si annullano a causa di adulti smarriti e ancorati a pseudo valori. Sono adolescenti che rivendicano la presenza di guide salde che non trovano più né in famiglia, né a scuola, né in altri contesti sociali. Mi spiego meglio.
Se paragono un essere umano ad un albero, mi chiedo cosa occorra a questa pianta per crescere sana e rigogliosa ossia essere un adulto sano che contribuisce alla crescita propria e della società in cui vive.
Una pianta ha bisogno anzitutto di un terreno adatto, ricco di nutrienti e che possa essere per lei una buona base: di cosa si nutrono i nostri adolescenti oggi? In assenza di una spiritualità consapevole e vissuta si nutrono di adulti onnipotenti che non accettano di invecchiare, che coltivano il culto del corpo perfetto e dell’efficienza e della performance ad ogni costo.
Le radici sono le nostre fondamenta e le nostre origini, il nostro punto di ancoraggio: in un mondo globalizzato e spersonalizzante cosa assorbono i nostri ragazzi? A cosa si ancorano?Al qui e ora, al tutto e subito, ma soprattutto all’individualismo che allontana il noi e ci fa appartenere virtualmente senza sentirci davvero parte di un progetto.
La stessa famiglia non è più luogo di confronto e condivisione, tutti sempre di corsa, vicini virtualmente ma fisicamente distanti, esempi di prestazione ed efficienza, dediti al pensare e al fare ma spaventati dal sentire, soprattutto se doloroso.
Il tronco rappresenta il nostro io attuale, la nostra forza e la nostra resilienza ma chi sostiene questo tronco mentre si sta formando? Qual è il sostegno che li protegge quando sono esposti alle intemperie della vita? La religione è diventata un mero esercizio di ritualità non sentite, la scuola fatica a gestire la complessità della situazione perché spesso non supportata o addirittura esautorata dalla stessa famiglia ma soprattutto è l’adulto che il terapeuta Pellai definisce “adultescente” che ne esce demolito nel ruolo che fatica ad interpretare e nella funzione che non riesce ad esercitare.
I rami rappresentano le diverse strade che percorriamo nella vita, le nostre decisioni e le nostre direzioni. Senza certezze, senza la possibilità di progettare nella rapidissima mutevolezza di ciò che viviamo, nell’instabilità politica, nel lento ed inesorabile declino a cui abbiamo condannato madre terra, quale futuro abbiamo donato ai nostri figli? Non potevamo fare peggio di così.
Le foglie dell’albero rappresentano i nostri pensieri e le nostre emozioni ma è necessario educare i nostri ragazzi a pensare, a farsi delle domande e al sentire: non è forse l’adolescenza la culla delle domande esistenziali? Non è in adolescenza che sin dalla notte dei tempi abbiamo iniziato a chiederci chi siamo, qual è il senso del nostro esistere e della morte? Ma queste domande i ragazzi non se le possono fare più perché siamo adulti algofobici, non tolleriamo il dolore e non glielo permettiamo, ignoriamo la morte e viviamo come se fossimo eterni. Credo però che dare un senso alla morte permetta di regolare la propria vita e darle una direzione.
Infine, i frutti dell’albero simboleggiano i nostri risultati e il contributo che diamo al mondo e agli altri.
Se il risultato sono giovani vite che si danno il valore di un abito firmato o di un cellulare ultimo modello credo che noi adulti abbiamo tanti mea culpa da fare. Ripartiamo da noi, da un sistema di valori e di credenze di cristiana memoria che si fonda sull’ama il prossimo tuo come te stesso e sul non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te e solo dopo averlo davvero messo in pratica potremo guardare i nostri ragazzi ed esprimere un giudizio su di loro.