Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Sulla vicenda di Alfredo Cospito e sull’applicazione del 41 bis vorrei fare una riflessione.
A seguito di questa vicenda, in questi giorni sto leggendo come l’intero regime del 41bis venga definito una “tortura di Stato” e in molti auspicano ad una sua abolizione totale.
Partiamo analizzando alcuni dati importanti rispetto al regime del 41 bis, proprio per non cadere in generalizzazioni o constatazioni slegate dalla realtà dei fatti.

- Il regime del 41 bis è un regime speciale, a cui in questo momento sono sottoposte meno di 800 persone  (non migliaia di persone) e tutte (a parte 6) per aver commesso reati di mafia.

- I detenuti al 41 bis spesso vivono in condizioni migliori del 90% della popolazione carceraria italiana.

- I suicidi, le violenze, gli atti di autolesionismo che vengono citati in questi giorni non sono avvenuti tra i detenuti al 41 bis, ma tra gli altri detenuti. I mafiosi hanno le migliori condotte in carcere.

- È vero che c’è stata una dilatazione nell’applicazione di questo regime e che in alcuni rari e specifici casi l’applicazione è stata irragionevole. Questo va denunciato, ma non giustifica la condanna dell’istituto come fosse la regola seguita dal sistema penale italiano “per reprimere i diritti delle persone”.

- Il 41 bis è stato ideato insieme all’istituto della collaborazione con la giustizia, proprio perché i mafiosi condannati al carcere duro possono essere rieducati solo se decidono di recidere definitivamente il legame con l’organizzazione mafiosa: rompendo il muro dell’omertà e dando un messaggio esterno chiaro di tale rottura. 

Oggi è vero che le istituzioni carcerarie sono state abbandonate dallo Stato; che le condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari sono indecenti; che a causa di assurde circolari amministrative, i detenuti, soprattutto i più giovani, sono soggetti a pericolose gerarchie mafiose dentro il carcere; che l’istituzione carceraria sta diventando sempre più una discarica sociale e non un luogo di Welfare rafforzato, dove si punta alla rieducazione e alla risocializzazione del detenuto, come prevede la nostra Costituzione. È vero che spesso chi finisce dentro il carcere ha commesso reati di sussistenza. È vero che dentro le carceri politici e colletti bianchi, i quali commettono reati contro principi democratici e costituzionali, sono solo lo 0,3% e che in Parlamento si sta cercando in ogni modo di garantire a queste categorie di soggetti l’impunità da reati politici, finanziari e contro la p.a.

Tutto questo va denunciato con forza e costanza, facendo leva sulle responsabilità politiche ed istituzionali. Ma non confondiamo questi fatti con il regime del carcere duro, con le ragioni che lo ispirano e per cui è stato ideato, lo ricordiamo, proprio da Giovanni Falcone: non come "tortura" o come "vendetta" dello Stato, ma per motivi specifici di lotta alle mafie e ai sistemi criminali.
Perché se ci dimenticassimo l’importanza di questo strumento nel contrasto alle mafie, faremmo lo stesso gioco del sistema che vuole abolire il 41 bis a tutti i costi, proprio per favorire mafie e sistemi criminali. Sosterremmo le ragioni di indicibili boss stragisti che in questo momento non vedono l’ora che il 41 bis venga abolito per tornare a comandare dentro le organizzazioni mafiose e ad ordinare attentati e stragi contro persone innocenti. Torneremmo indietro di 30 anni nel contrasto alle mafie, cancellando gli innumerevoli sacrifici dei nostri martiri, che in nome di questa legislazione sono stati uccisi.
Proprio perché si tratta di un istituto che limita profondamente le libertà personali, dobbiamo pretenderne una applicazione giusta e rigorosa, nei confronti di chi seriamente rappresenta un pericolo per la collettività: come un capomafia, i cui contatti con l’esterno devono essere necessariamente limitati il più possibile.
Ma non cadiamo in generalizzazioni, condannando senza un ragionamento logico e senza discernimento, l’esistenza e l'operatività di questo istituto: pilastro della nostra legislazione antimafia, unica in Europa e nel mondo, oggi ancora estremamente fondamentale ed essenziale nella lotta alle organizzazioni mafiose e ai sistemi criminali.

Foto © Imagoeconomica

TAGS: ,

Ti potrebbe interessare...

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos