La triste vicenda di Julian Assange inizia timidamente a trovare spazio sui grandi giornali.
Meglio tardi che mai, ma il generale assordante silenzio dei media mainstream al quale abbiamo assistito per anni ci impone di rinnovare con sempre maggiore determinazione l’impegno ad aderire a questa campagna di sensibilizzazione verso un caso tanto eclatante. Dovrebbe essere al primo posto nell’attività giornalistica in una Europa che ha l’ardire di voler garantire i diritti civili di libertà e democrazia, in opposizione alla violenza delle dittature. Quale ipocrisia!
Occorre interrogarsi seriamente sulla deriva in cui è caduto il mondo dell’informazione.
Partiamo allora dal nostro campo di competenza: la lotta alla mafia
La lotta alla mafia dovrebbe trovare efficacia e nutrimento in una sorta di rivoluzione culturale, atta innanzi tutto a riconoscere le mille sfaccettature con cui il fenomeno mafioso, in modo più o meno celato, si manifesta permeando la società attuale nella sua interezza.
L’avanguardia di tale necessario ed auspicabile processo dovrebbe risiedere in tutto ciò che concorre a formare l’individuo e per osmosi il retaggio culturale da cui l’individuo stesso attinge per lo sviluppo della propria personalità.
Un ruolo fondamentale in questo senso è senza dubbio quello dell’informazione che, notoriamente non da oggi nella figura dei giornalisti della carta stampata, sono definiti il quarto potere.
Analizzando per esempio come è stato trattato il caso Palamara, si evince che qualcuno ha urlato allo scandalo, cercando di strumentalizzare la vicenda secondo la propria appartenenza politica; prendere atto di essere davanti alla punta di un iceberg doveva imporre di correre ai ripari per far sì che il bilanciamento dei poteri dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) possa continuare a garantirne la stabilità democratica. Purtroppo, quand’anche si è cercato di togliere la testa da sotto la sabbia, è accaduto, per esempio con le recenti proposte referendarie, che paradossalmente si sia cercato di orientare le soluzioni nel perpetuare una delle cause, cioè andando a minare l’indipendenza della Magistratura, dunque il bilanciamento stesso dei poteri sopra citati.
Il quarto potere, intendendo stampa e media, quando affronta l’argomento, lo fa con superficialità omettendo di denunciare che ci troviamo di fronte ad un consociativismo tra parti apparentemente contrapposte che, nei momenti di necessità scendono a patti tra loro e creano un equilibrio fatto di ricatti tra apparati eversivi, politici, criminalità mafiosa, magistrati e giornalisti compiacenti.
Questo intreccio è il livello nascosto che nel momento in cui viene infastidito da inchieste di magistrati e giornalisti, interviene dando a volte l’idea di favorire uno schieramento politico a danno dell’altro.
Si parla appunto più correttamente di sistema criminale integrato poiché è in grado di attuare un controllo trasversale tanto nella legittima gestione dei poteri quanto negli aspetti occulti ed illegittimi.
Al di là dei suoi molteplici campi d’azione questo potere non è estraneo agli interessi finanziari che di fatto dettano l’agenda politica degli Stati.
Quando è culturalmente accettato che il fine giustifica i mezzi non possiamo stupirci di nulla.
Non si può lasciare il peso di questa lotta impari nelle mani di pochi magistrati coraggiosi e, oltre all’imprescindibile appello alle responsabilità di ogni cittadino, occorre che chi ha il delicato ed importantissimo compito di informare l’opinione pubblica, torni con il coraggio di un tempo neanche poi così lontano, a fare un lavoro d’avanguardia con inchieste giornalistiche, le quali hanno la peculiarità di potersi ragionevolmente spingere oltre ciò che si può dimostrare in sede processuale.
Se il terrorismo in Italia è stato sconfitto e se è vero che la mafia non fa più paura, non dovrebbe accadere che, salvo rari casi, sfogliando i principali quotidiani nazionali si abbia l’impressione di trovarsi di fronte a contenuti in forma e sostanza non dissimili dai settimanali di gossip.
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