Un giorno di lotta sociale, politica ed economica. Un giorno di protesta contro la guerra, contro le armi e contro la violenza. Un giorno di rivendicazione, per riappropriarci dei nostri territori e per pretendere giustizia, ma anche di gioia, di sorellanza e di unione. È così che è nato l’8 marzo. Nel 1917 gruppi di donne femministe russe si riunirono in movimenti pacifisti per chiedere la fine della Prima Guerra Mondiale. Così quest’anno lo sciopero nazionale è stata un’occasione per fare fronte unico ed opporsi alla guerra, che si sta preparando in Ucraina e a tutte le guerre che si stanno consumando nel mondo e che stanno passando in secondo piano, al riarmo, all’autoritarismo e al militarismo. Le strade di Bologna, di Roma, di Milano e di tantissime altre città d’Italia si sono dipinte di viola e di fucsia, e si sono unite in un solo grido contro il patriarcato, contro la violenza di genere, contro l’aggravamento sempre più evidente delle condizioni di vita e di lavoro per le donne e per ogni soggettività.
Allo sciopero femminista e transfemminista, organizzato nelle varie piazze italiane dall’associazione Non Una Di Meno, hanno aderito numerosissime realtà, tra cui anche il nostro Movimento, che ha aperto il corteo in Piazza XX Settembre con una presentazione artistica intitolata “Apokalìpsis”. Una performance provocatoria, che identifica nella gabbia (struttura formata da pali neri che circonda le giovani attrici) il sistema patriarcale che tiene intrappolat3 tutt3 tra le sue sbarre. Un richiamo alla sofferenza e alla rivendicazione della donna. Un richiamo alla parte più istintuale e atavica femminile, alle sue origini, alla mostruosità che ci hanno imposto. Perché in un’umanità definita da uomini, le donne divengono nullità ed è necessario rivendicare la nostra mostruosità femminile: “Il patriarcato ha generato su di noi, mostri, incubi, per la paura dei nostri corpi, del nostro piacere, della sua incapacità di controllarci.
Nel nostro sangue c’è la magia, nelle nostre radici storie di donne bruciate, annegate, soffocate, imprigionate.
siamo le nipoti delle streghe, delle sirene, delle ninfe, delle baccanti, delle arpie, delle Erinni, di Babilonia, Circe, Medusa, di Scilla e Cariddi”, così abbiamo presentato la nostra performance. Siamo mostr3 perché non accettiamo il dominio, perché siamo soggettività che non hanno spazio nel binarismo eteropatriarcale, perché emarginat3”.
Un richiamo infine, alla storia delle centinaia di migliaia di donne di ogni età considerate “streghe” che innocentemente sono state bruciate o impiccate.
Come dicevamo prima, l’8 marzo di quest’anno è stata l’occasione per lottare collettivamente contro la violenza imperialista e di Stato, di cui le guerre sono una delle espressioni più organizzate e gravi.
Perché i conflitti toccano in prima persona tutte le donne, di qualsiasi età, tutte le donne e persone lgbtqia+ e tutte le persone che vengono giudicate come “diverse” dalla società: imponendoci schemi e valori tradizionali, sopprimendo la nostra libertà di esprimerci e autodeterminarci, aggravando il pericolo e il numero delle violenze sessuali, degli stupri di massa, degli stupri etnici, delle disuguaglianze sociali e generando gerarchie sessiste, classiste e razziste. Ce lo ha insegnato la storia, durante la guerra il rischio di essere violentata aumenta di molto per qualsiasi donna.
Per questo motivo di fronte all’escalation militare che vede coinvolta la Russia e tutto l’Occidente è stato necessario, per l3 compagn3 di Non Una Di Meno, “ribadire con ancora più forza come sia necessario lottare collettivamente per rovesciare questa società neoliberista, patriarcale e razzista”.
“Siamo con lx migranti, perché la libertà di movimento è l’espressione del rifiuto alla violenza, ancor più quando si fugge da territori di guerra. Sappiamo che l’UE che oggi vuole accogliere i profughi Ucraini, è la stessa che ieri faceva morire i migranti ai confini della Polonia e sulla rotta balcanica e che continua a portare avanti politiche razziste chiudendo i confini a molti migranti o studenti razzializzati. Siamo con le sorellə ucrainə in Italia. La comunità Ucraina in Italia comprende 248 000 persone, l’80% delle quali sono donne. Moltissime di queste lavorano in nero, in condizioni di emarginazione e sfruttamento, quelle stesse che oggi rendono difficile per loro produrre i documenti necessari per poter accogliere le loro persone care in fuga dalla guerra. Siamo con le femministe russe e con tutt3 coloro che in Russia si stanno ribellando al governo autoritario di Putin, sfidando la repressione più dura, e con tutt3 coloro che vengono arrestat3 perché protestano contro questa manifestazione estrema della violenza”. È stata forte quindi l’opposizione alle politiche criminali di Putin, alle responsabilità degli Stati Uniti, della Nato e dell’Italia come paese membro dell’Alleanza Atlantica, al nazionalismo utilizzato in Ucraina come strumento di oppressione e di discriminazione.
Il governo di Mario Draghi, in effetti, quest’anno stanzierà 26 miliardi di euro per la NATO, con la prospettiva di arrivare a 38 miliardi di euro per raggiungere il 2% del Pil. Tutto questo mentre nel Paese si contano oggi quasi 6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta per i tagli alle politiche di welfare, alla sanità pubblica e all’istruzione, mentre i centri antiviolenza e i consultori sono costretti a chiudere per mancanza di finanziamenti, mentre donne di ogni età, anziane e giovani, donne migranti, donne e persone lgbtqia+, sono in ginocchio di fronte alla precarietà dei contratti di lavoro, alle retribuzioni e alle pensioni miserabili, ai lavori part-time e allo smart-working, ai licenziamenti obbligati in stato di maternità e così via.
In effetti, l’Italia è l’ultima in Europa per il divario lavorativo tra donne e uomini. Le donne vengono quasi sempre relegate al lavoro di cura e a quello riproduttivo che ci ha schiacciat3 all’interno di uno schema familiare tradizionale di matrice patriarcale e misogina. Più della meta delle donne è disoccupata e il reddito medio di chi ha un lavoro è circa il 59,5% di quello degli uomini.
Come se non bastasse già tutto questo, come donne e come persone lgbtqia+ subiamo una strage silenziosa che ci uccide non solo attraverso i femminicidi, i transfemminicidi, le violenze sessuali e i privilegi di genere, ma anche attraverso l’abbandono e la mancanza di una tutela organizzata da parte delle istituzioni. È una strage trascurata, normalizzata e spesso velocemente archiviata dai mezzi di comunicazione e dal dibattito politico.
Non è possibile che non ci sentiamo sicure ad uscire da sole per strada, per paura di essere violentate dal nostro ex compagno o ex marito, oppure da un infermiere dell’ambulanza, o da un socio di un sindacato, o dal ginecologo, o dal bidello della scuola, o dal proprio psicologo o dal proprio datore di lavoro. Sono 8 mila l’anno gli episodi accertati come aggressioni, minacce, violenze provenienti sia dall’interno sia dall’esterno del posto di lavoro e più della metà delle aggressioni è rivolto contro le donne.
“Siamo stanch3 di uno Stato che non applica le leggi, che non ne formula di nuove, che non garantisce la nostra sicurezza e che pubblicizza ipocritamente il contrasto alla violenza, solo per ripulirsi la faccia e comprare voti e consensi elettorali”, ha detto l’attrice Beatrice Boccali a nome di tutto il movimento Our Voice.
Siamo stanch3 di leggere una notizia al giorno di un femminicidio o di una violenza. Continueremo a gridare e a pretendere giustizia, perché non saremo MAI LIBERE e non usciremo mai veramente dalla gabbia finché una sola sorella starà soffrendo.
“Per tutte quelle sorelle che gridaron libertà. Il nostro fuoco non si spegne il patriarcato brucerà”.
Foto e Video © Our Voice
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- Marta Capaccioni