Intervista a cura degli studenti della “School of Public Affairs and Administration (SPAA) della Rutgers University (USA)”
Professore, cosa ha pensato quando hanno scarcerato Giovanni Brusca?
Da cittadino certamente è difficile da digerire pensando che ha sciolto un bambino nell’acido ed è l’autore della Strage di Capaci, oltre a un’infinità di omicidi su commissione. Da giurista e studioso delle dinamiche mafiose dico che lo Stato ha mantenuto fede a un accordo avendo ottenuto in cambio testimonianze decisive su crimini mafiosi. Il tutto è avvenuto nel rispetto di una legge.
Maria Falcone, di cui lei spesso ci parla e che conosce personalmente, ha dichiarato che umanamente è una notizia che la addolora, ma questa è la legge, che peraltro ha voluto suo fratello Giovanni e quindi va rispettata. Lei è d’accordo?
Conoscendo la professoressa Falcone, so quanto le sia costato. Condivido totalmente la sua dichiarazione. Senza i collaboratori di giustizia non ci sarebbe stato Tommaso Buscetta e forse non avremmo avuto il maxiprocesso di Palermo che ha inferto un durissimo colpo a Cosa Nostra.
Molti familiari delle vittime di Brusca sono esasperati, cosa ne pensa lei?
Come non comprendere il loro dolore? Tuttavia occorre stare molto attenti a non fare il gioco di chi vuole la concessione degli stessi benefici per i mafiosi che invece non collaborano con la giustizia o l’abolizione del 41 bis.
Oltre al profilo giuridico c'è quello della morale. Chi è responsabile di centinaia di omicidi di mafia può uscire dal carcere dopo ventisei anni?
Moralmente no! Giuridicamente sì! Questo dipende dalla legge che lo dispone e dal percorso individuale e trattamentale del detenuto. Per un mafioso che ha collaborato con la giustizia rientrare nei ranghi mafiosi è quasi impossibile per cui lo Stato dovrà ancora vigilare su di lui.
In queste ore da più parti ci sono proposte per cambiare la legge sui collaboratori di giustizia. Secondo lei occorre una riforma?
Certo che occorre una riforma, ma che rafforzi le collaborazioni e che sia finalizzata ad aumentare gli strumenti a difesa dei collaboratori e dei loro familiari e ad agevolare le indagini per scoprire la verità.
Brusca ha avuto un ruolo anche nella ricostruzione delle stragi mafiose. Si riuscirà mai a scoprire tutta la verità?
Su quest’ultimo punto nutro qualche dubbio. Sulle stragi si sa ancora troppo poco. Conosciamo gli esecutori (che non è poco) ma non sappiamo ancora chi furono i mandanti. Il vero ristoro per le vittime dei crimini mafiosi credo sarebbe proprio questo: conoscere tutta la verità. Solo in questo modo la giustizia avrebbe fatto compiutamente il suo corso.
Nella lotta alla mafia di oggi è ancora importante il ruolo dei pentiti?
Secondo me lo è ancora di più, il problema è che spesso sono abbandonati dallo Stato, le norme non li tutelano adeguatamente, i Governi li mettono spesso in sordina. Se si continua di questo passo, i collaboratori di giustizia saranno solo un lontano ricordo.
Secondo lei scardineranno anche il 41-bis?
Mi auguro proprio di no. Il 41-bis rimane uno strumento indispensabile soprattutto nei confronti dei veri capimafia. Abolirlo sarebbe un grandissimo favore fatto alle mafie. La lotta alla criminalità organizzata in carcere passa attraverso varie offerte trattamentali anche a detenuti recalcitranti alla rieducazione. Il 41 bis di oggi è un provvedimento personale sottoposto all’esame di un giudice. Non lo era in passato e poteva essere applicato in base ad una scelta discrezionale dell’amministrazione penitenziaria. Attualmente c’è la piena osservanza dei principi di legalità e di giurisdizione. Chi lo strumentalizza, o non lo conosce o ha secondi fini.
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