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Nella notte tra il 25 e il 26 dicembre 2018 a Pesaro andò in scena un agguato mafioso con vittima Marcello Bruzzese, fratello del pentito di ‘ndrangheta Girolamo, inserito nel programma speciale di protezione dei collaboratori di giustizia. Un fatto gravissimo, mai accaduto prima. Oggi è stato trovato morto il collaboratore di giustizia Antonino Filocamo. Il suo corpo esanime rinvenuto nell'appartamento nel centro di Lecce dove il pentito di Reggio Calabria era sotto protezione. Non sappiano ancora se si tratti di suicidio o omicidio. Lo diranno, spero presto, le indagini. Tuttavia, anche quest’ultima morte rappresenta un fatto gravissimo. Vicino alla cosca Serraino, Filocamo era stato arrestato l'estate scorsa nell'ambito dell'operazione "Pedigree". Subito dopo aveva deciso di collaborare con i magistrati di Reggio Calabria e con la Dda guidata dal procuratore capo Giovanni Bombardieri. Tra poche settimane doveva iniziare il processo proprio alla cosca Serraino. A prescindere dalle indagini, che faranno il loro regolare corso, vorrei evidenziare quanto i collaboratori e i testimoni di giustizia siano uno strumento irrinunciabile per il contrasto alla criminalità organizzata. Lo Stato dovrebbe tutelare chi decide di stare dalla parte della giustizia, e invece destina sempre meno risorse ai programmi di protezione, e non attiva il cambio di generalità del protetto e dei suoi familiari. Per esperienza di studio e di analisi sul campo sappiano che le mafie non dimenticano, e che le vendette e le faide non hanno una scadenza predefinita. Quello che accadde a Pesaro e questa morte più recente, sono fatti gravissimi e, per quel che risulta, senza precedenti. Se si escluderà o meno la pista del suicidio, occorrerà spiegare agli italiani come tutto ciò sia potuto accadere. Se sia stata presa in considerazione l’attualità del pericolo di vendette trasversali. Se si ritengono adeguate le risorse umane e materiali per il Servizio centrale di protezione a fronte di un aumento della popolazione protetta. Se erano stati disposti il cambio di generalità dei congiunti del collaboratore di giustizia, se erano stati forniti documenti di copertura o predisposto un polo di residenza fittizio per la posta e le notifiche. Se era stata attuata una valutazione psicologica del pentito per valutarne il suo equilibrio. Tutte domande cui lo Stato dovrà dare una risposta, spiegando quali iniziative intenda adottare per garantire la massima protezione a quanti, siano essi collaboratori di giustizia, testimoni di giustizia, giornalisti, magistrati, esponenti politici, siano sotto la tutela dello Stato. I collaboratori e i testimoni di giustizia rimangono uno strumento irrinunciabile per il contrasto alle mafie: le loro rivelazioni hanno fatto fallire tentativi di omicidio, salvato vite umane, consentito di mappare beni da confiscare, arrestare gli autori di un numero impressionante di traffici di droga, di crimini gravissimi, tra cui le stragi di Capaci e Via d’Amelio e quelle di Firenze, Roma, Milano. Stiamo molto attenti a simili episodi che potranno costituire una falla difficilmente rattoppabile al sistema di protezione di chi collabora con la giustizia, con logica conseguenza di uno stop a tutto vantaggio delle mafie.

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