Tratto dal libro "Giuseppe", oltre la lettura.
Confessioni di un padre-scrittore su di un figlio scomparso tragicamente
All'inizio del mio girovagare, il 2 marzo 2018, sono stato ospitato al Liceo Scientifico "Ernesto Basile", a Palermo, nel quartiere Brancaccio.
Poi mi diranno che è il quartiere della città con il più alto indice di componente mafiosa, ma quel giorno mi sembra tutto "normale": ad accogliermi c'è il dirigente scolastico Angelo Di Vita, la professoressa Maria Scaglione e la psicologa dello Sportello Ascolto Daniela Randazzo e siamo nel massimo della linearità.
Ho iniziato a girare per le scuole di tutta Italia per presentare il mio libro, GIUSEPPE, firmato con lo pseudonimo di El Grinta ed edito da Albatros, da novembre 2017, proprio dalla Sicilia, grazie alla buona eco riscossa con la vincita del secondo posto ex aequo per la narrativa edita, al Premio Piersanti Mattarella 2016.
Il romanzo è ispirato al suicidio realmente accaduto nella notte tra il 24 ed il 25 marzo 2014 a Milano, città in cui vivo, di Giuseppe, il mio primo figlio, all'epoca ventunenne (il primo di tre), quando cioè apre la finestra della sua camera, all'ottavo piano di un palazzo, e si lancia nel vuoto.
Ho cercato di raccontare il mal di vivere di un essere che si è sentito sin dall'adolescenza intrappolato nel proprio corpo e, infatti, GIUSEPPE è anche la storia di Noemi, alter ego femminile che assume contorni definiti nella vita di noi genitori solo nel momento in cui nostro figlio si toglie la vita.
Ricostruisco la vicenda a ritroso, a partire dalla notte maledetta, attraverso le pagine di un diario che auguro a chi ora mi sta leggendo e a chiunque altro, di non scrivere mai.
Le colonne portanti del narrato, dove trova ampio spazio anche il racconto delle mie emozioni, sono due: l'identità di genere e il disagio giovanile che porta all’auto distruzione.
Servirà davvero raccontare ai ragazzi della grande sofferenza di un loro quasi coetaneo e del profondo dolore di un padre o li turberà soltanto?
Non lo so, ma quando ho presentato il libro a Milano per la prima volta, a settembre 2016 (la prima edizione è di maggio 2016 e la seconda di maggio 2018), un professore in pensione che già l'aveva letto, è intervenuto suggerendomi - visto l'alto contenuto educativo - di portarlo nelle scuole.
Ho ascoltato quel suggerimento e così ho cominciato a proporlo ai dirigenti scolastici delle scuole superiori di tutta Italia ed è così che sono arrivato a Palermo.
Il Liceo "Basile", quel giorno, ha deciso di tenere due "turni" (non so in base a quale criterio, ma credo sia in base all'adesione volontaria del coordinatore di ciascuna classe) e a ogni turno ha ammesso solo alcune classi. Il primo turno è quello dei "piccoli", cioè dalle prime alle terze, e il secondo è quello dei "grandi", cioè le quarte e le quinte.
Per ogni turno, ci sono poche classi e quindi pochi ragazzi (rispetto alle aule magne piene), ma questo, ai fini del dibattito, è un bene perché, purtroppo, l'affollamento non lo facilita.
E quello che ora voglio raccontare avviene durante il secondo turno, quello dei "grandi".
E' da poco suonato mezzogiorno.
Mi colpiscono i maschi: sono tutti dei pezzi di Marcantonio, con dei corpi muscolosi e scultorei, che dimostrano più anni di quelli che hanno e penso che lì in mezzo Giuseppe, magrolino com'era, di sicuro si sarebbe sentito a disagio.
L'intesa che si crea tra me, padre-scrittore, e le scuole che mi aprono le porte, è quasi sempre forte, con gli studenti - anche quelli che non parlano mai e quelli che costituiscono le "curve" di notorio dissenso - che accolgono Giuseppe e la sua storia come uno di loro e come una loro storia.
In quel momento, però, c'è qualcosa in più...
Il discorso cade sulla scelta del titolo del libro: perché Giuseppe e non Noemi e perché non almeno Giuseppe Noemi?
Hai voglia a dire che Giuseppe non si era mai fatto chiamare da noi Noemi e quindi mettere quel titolo, per me, sarebbe significato evocare una persona estranea, mai conosciuta.
Hai voglia a chiedere se loro chiamerebbe un caro amico che, per di più, non è più, in un modo in cui non l'hanno mai chiamato.
Le proteste sono forti e violente. Di fronte a qui giganti, davvero temo per la mia incolumità fisica ed è un attimo pensare: "qui ora le prendo di santa ragione!".
Una ragazza grida, riferendosi alla lettura della lettera che ci ha lasciato Giuseppe e da dove ho iniziato la presentazione (le comincio tutte da lì):
"Lei non ha capito niente e pensare che gliel'ha anche scritto!", riferendosi al desiderio riportato di Giuseppe di avere sulla lapide - cosa che è avvenuto - anche il nome di Noemi.
Ad un certo punto, interviene la professoressa Scaglione, che grida anche lei e dice:
"Ma vi rendete conto che siete di fronte ad un uomo che ha sofferto e soffre molto? Ragazzi, rispetto!".
Ma non serve a niente...
La psicologa, Daniela Randazzo, intanto, tace.
Un po' di attenuazione, c'è quando si alza un ragazzo e viene vicino a me. Lui però non è un pezzo di Marcantonio come gli altri, anzi, è mingherlino come Giuseppe e ha anche lui una montagna di capelli neri ricci. E' una figura eterea, appunto come mio figlio, e temo che, con un soffio di qualche corpulento compagno di classe, vada in terra o svenga o le prendiamo tutti e due.
Dice semplicemente:
"Il signore sta dicendo che ha usato il nome che usava sempre per rivolgersi al figlio".
Questo un po' placca.
Qui mi fermo.
Ma perché quella reazione quel giorno? Pettegolezzo o sensibilità esasperata? Sta di fatto che quei ragazzi così solidali con mio figlio, pur non avendolo mai visto di persona né mai sentito nominare prima di quel momento, paura a parte di prenderle, mi hanno fatto un regalo bellissimo sempre vivo nella mia mente...
***
Non so perché ho voluto scrivere un libro su Giuseppe. Scrivere è stata la mia morfina, unica droga capace di anestetizzare un dolore terrificante. Quando scrivevo, infatti, Giuseppe era con me e mi sembrava che non fosse mai scomparso. Alla fine, è venuta fuori una testimonianza verace che, innescando la riflessione, può essere un ausilio per tutti quei ragazzi che, come Giuseppe, affrontano problemi più grandi di loro che non riescono a gestire. E, naturalmente, per tutti quei genitori e docenti che vogliono stare vicino ai loro figli ed allievi ed accettarli e amarli per quello che sono.
All’inizio, quando ho cominciato a scrivere, non avevo alcun obiettivo se non quello di commemorare mio figlio, ma, con il passare del tempo, ho trovato l'attenzione di tutti.
Il racconto, con l’obiettivo dichiarato di onorare la memoria di Giuseppe, però, cerca anche di capire la forte componente dell'hikikomori di questo figlio difficile ed è questo l’unico grande cruccio che ho come scrittore: quando parlo con i ragazzi, ma anche con gli adulti, a meno che non ci sia un motivo ben presente nelle loro vite, ci si concentra sempre sui problemi dell’identità di genere e poco sull’isolamento, che invece è stata la vera causa della morte di Giuseppe e chissà di quanti altri ragazzi. Ma se riesco a far capire quanto ciò sia importante, avrò vinto la mia battaglia…
La componente dell'hikikomori, infatti, sebbene sia davvero forte in quella che è stata la vita di Giuseppe, spesso rimane in ombra perché il massimo dell'attenzione è orientata verso l'altra componente del libro, quella dell'identità di genere ancora indefinita, come è avvenuto quel giorno al Liceo "Basile" di Palermo.
In un certo senso, questo è ovvio perché, chi soffre di hikikomori, di solito, è un problema per la famiglia (se c’è!) ma non per la scuola, se non altro perché a scuola vi va poco, mentre chi presenta un'identità di genere ancora indefinita può essere un problema nella sua classe, fino a catalizzare l'attenzione di tutto l'istituto.
Da novembre 2017 a novembre 2019, prima cioè che il covid fermasse l'attività in presenza delle scuole, GIUSEPPE è stato presentato per tutta Italia in 24 Istituti Superiori e una Inferiore (solo alle terze medie), fino ad arrivare a novembre 2020, quando, attraverso il libro e la mia testimonianza, l’Amministrazione Comunale di Viareggio ha voluto tenere anche un incontro on line, con un credito formativo riconosciuto dal MIUR, per i docenti che vi partecipavano.
Mi dicono che il libro è quello che tutti noi genitori dovremmo leggere e che comunque è ben indicato per i ragazzi, a partire dalla terza media.
Per le scuole, di fatto, è l'occasione per creare un bel dibattito e cercare di fare tutti assieme - studenti, loro docenti, psicologi dello Sportello Ascolto se presente, dirigente scolastico e padre-scrittore - proiezioni per il futuro e per le proprie vite, soprattutto se attraversate da problemi che non si riesce a risolvere da soli, proprio per non finire di scegliere come Giuseppe di togliersi la vita o comunque di isolarsi.
E se questo è il giudizio del pubblico, come critica letteraria, da agosto 2016 ad aprile 2019, GIUSEPPE ha ricevuto 21 riconoscimenti in tutta Italia, tra cui vari primi Premio per la narrativa edita.
Di recente, forte dell'esperienza maturata parlando con gli studenti nei miei giri per lo Stivale, ho elaborato un nuovo testo dove le "telecamere" sono puntate solo su Giuseppe e Noemi, e alla fine di febbraio ho firmato un nuovo contratto di edizione con la CSA, la casa editrice di Castellana Grotte, Bari, che, contemporaneamente, ne curerà anche la cessione dei diritti all'estero.
A settembre, quindi, in libreria arriva "Mio figlio. L'amore che non ho fatto in tempo a dirgli" di Marco Termenana (anagramma del mio vero cognome).
Ma allora, figlio mio, la mattina, all'appello, San Pietro come ti chiamerà? Giuseppe o Noemi?
Secondo me, per Lui, come per tutti noi che ti vogliamo bene, è indifferente!