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Più la magistratura emette pronunce a favore di Paolo Borrometi, più taluni giornalisti ed alcuni rappresentanti istituzionali siciliani aumentano il fuoco incrociato contro il giornalista vicedirettore dell’AGI.

Paolo Borrometi vive con l’incubo delle minacce mafiose dal 2013 e, dal 2014, da quando cioè quelle minacce si sono trasformate in azioni criminali con un’aggressione e un pestaggio ai suoi danni, vive sotto scorta. E per fortuna, viste le intercettazioni ambientali registrate dai Carabinieri che hanno svelato un progetto per assassinare il giornalista. La sua colpa? Aver pubblicato articoli sugli interessi delle mafie di Ragusa e Siracusa.

A partire dall’anno 2017 iniziano ad essere emesse le sentenze di condanna nei confronti di criminali imputati di minacce contro Paolo Borrometi:
– il 4 aprile 2017 il Tribunale di Ragusa ha condannato per minacce gravi e di morte, con l’aggravante mafiosa e della recidiva, il boss Giambattista Ventura, considerato il reggente del clan “Carbonaro-Dominante” di Vittoria (Ragusa);
– il 1 febbraio 2018 il siracusano Salvatore Giuliano (attualmente a processo con l’accusa di essere il capomafia di Pachino) ed il figlio Gabriele sono stati rinviati a giudizio dal Gup di Catania, per tentata violenza privata e minacce di morte, aggravate dal metodo mafioso e dall’appartenenza alla cosca mafiosa;
– il 7 giugno 2018 il giudice del Tribunale di Ragusa ha condannato con rito abbreviato Giovanni Giacchi, riconosciuto colpevole di minacce gravi;
– il 2 luglio 2018 il Tribunale di Siracusa ha condannato per minacce e tentata violenza privata, aggravate dall’aver favorito la mafia, Francesco De Carolis, fratello del boss Luciano (già condannato per mafia quale esponente di spicco del clan “Bottaro-Attanasio” di Siracusa);
– il 28 settembre 2018 il Tribunale di Ragusa ha condannato per minacce, con l’aggravante dell’aver favorito la mafia, Venerando Lauretta, boss di spicco del clan “Carbonaro-Dominante” di Vittoria.[1]

Fino al 2019 i comunicati in difesa e a sostegno di Paolo Borrometi sono stati corali e sono giunti dalle Istituzioni (da quelle comunali a quelle regionali siciliane, da quelle nazionali, incluso il Presidente del Senato Piero Grasso, fino al conferimento dell’onorificenza come cavaliere al merito per la libera di stampa “motu proprio” dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella), dalla stampa intera (nessuna eccezione), dalle associazioni antimafia di tutta Italia. Poi, mentre per Borrometi continuavano a fioccare attestati di stima dalle Istituzioni nazionali e ad essergli assegnate cittadinanze onorarie dai Comuni dentro e fuori la Sicilia, senza apparente motivo alcuni giornalisti e politici hanno eseguito un’inversione di centottanta gradi sulla figura di Borrometi. E’ iniziata a circolare la voce che l’aggressione perpetrata nei suoi confronti probabilmente non fosse mafiosa. Qualcuno ha suggerito addirittura una finta aggressione.

Nel frattempo, però, altri giudici dei tribunali siciliani hanno continuato ad emettere sentenze attestanti la correttezza delle denunce di Paolo Borrometi e l’attualità del pericolo che sta correndo:
– il 17 giugno 2020 la prima sezione penale della Corte d’Appello di Catania ha condannato il boss di Vittoria Giovan Battista Ventura per minacce di morte e tentata violenza privata, riconoscendo nuovamente l’aggravante del metodo mafioso;[2]
– il 18 settembre 2020 il giudice monocratico presso il Tribunale di Ragusa ha condannato per minacce e per diffamazione il pluripregiudicato di Avola (Siracusa) Sebastiano Casto;[3]
– il 9 dicembre 2020 il giudice monocratico presso il Tribunale di Ragusa ha condannato per minacce e per diffamazione Maria Concetta Ventura, figlia di Giambattista ‘Titta’ Ventura, il reggente del clan Ventura.[4]

L’11 dicembre 2020 il Tribunale di Ragusa ha respinto il ricorso presentato da Giuseppe “Pippo” Gennuso (ex onorevole siciliano decaduto per effetto della legge Severino) contro il giornalista Paolo Borrometi in merito ad alcuni articoli che lo riguardavano pubblicati sul sito di informazione LaSpia.it. Gennuso, prima arrestato per corruzione in atti giudiziari, poi condannato per traffico d’influenze illecite e decaduto dal parlamento regionale siciliano, aveva promosso ricorso d’urgenza invocando il diritto all’oblio e pretendendo, dopo soli due anni dai fatti, la rimozione dal sito di alcuni articoli che lo riguardavano. Il giudice, respingendo il ricorso, ha invocato l’articolo 21 della Costituzione ed ha sottolineato la veridicità degli articoli scritti da Borrometi.[5] Inoltre, il 5 febbraio 2021 la Corte di Cassazione ha annullato (con rinvio) la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Catania nei confronti di Francesco De Carolis, accusato di tentata violenza privata nei confronti di Paolo Borrometi. I giudici di appello catanesi, infatti, non avevano riconosciuto l’aggravante del metodo mafioso, che era stata ritenuta invece sussistente dal tribunale di Siracusa in primo grado nel 2018. A ricorrere contro la sentenza d’appello, lamentando il mancato riconoscimento dell’aggravante, era stato il Procuratore generale di Catania, le cui tesi erano state condivise dal sostituto Procuratore generale della Cassazione, che aveva quindi chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.[6]

Nel febbraio 2020, poco dopo l’audizione di Paolo Borrometi in Commissione antimafia regionale siciliana, il sito del giornalista (LaSpia.it) ha subito un grave hackeraggio, con manomissione di alcuni contenuti. Borrometi rivelerà la notizia un anno più tardi, dopo essere stato audito dal Consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti, a cui fornirà prova documentale dell’avvenuto hackeraggio del suo sito, eseguito per delegittimare il giornalista.

Infine, l’attualità dei pericoli che corre Paolo Borrometi emerge dai recentissimi decreti di fermo emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, nell’ambito di un’operazione che, il 2 febbraio 2021, ha portato al fermo di ventitré indagati, a vario titolo, per associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, favoreggiamento personale, tentata estorsione ed altri reati aggravati, poiché commessi al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose del circondario. In alcune intercettazioni ambientali Simone Castello, ritenuto uno degli uomini d’onore del gruppo, parlando con Giancarlo Buggea, rappresentante del capomafia agrigentino Giuseppe Falsone, esterna la sua irritazione per il lavoro svolto da Borrometi: “Ce ne sono articoli, questo qui, Borrometi, questo che è scortato – diceva Castello – a parte il libro che ha fatto, ha fatto un post, pubblicato su La Sicilia di Catania, e vuole fare un film, vuole farlo su di me a quanto pare…”. E ribadisce: “Siccome ha fatto prima il libro ora mira a fare il film tipo Saviano… e io sono stato pure dall’avvocato… dice ‘che dobbiamo fare?’. Che dobbiamo fare? Ho detto: ‘però teniamo presente…’Dice “perché, vede, se ci fai una querela e il pubblico ministero l’archivia, non ce lo leviamo più di sopra’. No – gli ho detto – io non devo fare niente… vediamo gli eventi come vanno. ‘Però teniamo presente…’”.[7]

E più le pronunce delle autorità giudiziarie italiane continuano ad evidenziare la realtà dei pericoli che ha corso e che ancora corre Paolo Borrometi, più i tentativi di “mascariamento” (termine siciliano per indicare la delegittimazione attuata attraverso false insinuazioni) nei suoi confronti raggiungono livelli parossistici. L’ultimo, soltanto in ordine di tempo, due giorni fa, attraverso un articolo (non firmato) nel quale si negavano le pericolose “attenzioni” di mafiosi, nei riguardi di Paolo Borrometi, contenute nelle intercettazioni della conversazione tra Castello e Buggea.

Ma cosa è successo nel 2019 che ha portato certa stampa e certi personaggi ad iniziare una campagna di delegittimazione ai danni proprio di Paolo Borrometi? La risposta a questa domanda, probabilmente, non si troverà mai. Quello che possiamo evidenziare, però, è un dato, nascosto tra le pieghe del tempo degli ultimi due anni. L’11 febbraio 2019 Paolo Borrometi aveva partecipato, per la prima volta, al convegno organizzato per il quindicesimo anniversario della morte dell’urologo Attilio Manca, dopo aver scritto sul caso in un primo articolo il mese precedente. Il 30 luglio 2019 compare online il primo articolo che attacca pubblicamente Borrometi, in quel caso circa i suoi articoli relativi alla vicenda del deputato dell’Ars (ora decaduto) Giuseppe Gennuso, che era rientrato tra i banchi della Regione Sicilia il giorno precedente, dopo aver patteggiato davanti al Gup di Roma per traffico di influenze illecite.[8] Il 13 febbraio 2020 Paolo Borrometi pubblica il suo secondo articolo sul caso di Attilio Manca, suggerendo chiaramente la tesi dell’omicidio di mafia come unica spiegazione della sua morte. Cinque giorni dopo, il 18 febbraio, Borrometi viene convocato ufficialmente dalla Commissione antimafia regionale siciliana, per riferire delle sue conoscenze circa “il ciclo dei rifiuti in Sicilia”. L’audizione avviene il 26 febbraio successivo e, in quella occasione, al giornalista vengono fatte poche domande sul ciclo dei rifiuti e molte sulla asserita mancata pubblicazione di un appello a favore del comune di Scicli (appello che successivamente dimostrerà di aver pubblicato) e sui suoi rapporti con l’ex senatore Beppe Lumia.

Sicuramente sarà stata la classica coincidenza, e gli attacchi – che continuano ad arrivare – contro Paolo Borrometi non hanno nulla a che vedere con il suo interessamento alle vicende legate agli ambienti di Barcellona Pozzo di Gotto (come è, per l’appunto, quella della morte di Attilio Manca). Certo è che, però, non possiamo fare a meno di rilevare un’altra coincidenza: tutte le persone che hanno portato all’attenzione pubblica fatti e personaggi degli stessi ambienti barcellonesi, sono state (e continuano ad essere), negli ultimi anni, oggetto di massacri mediatici e di tentativi di delegittimazione. Senatori, deputate, avvocati, collaboratori di giustizia. E sarà sempre una coincidenza che, dopo le ultime sentenze delle autorità giudiziarie siciliane e calabresi, che hanno gettato le basi per future inchieste che scandaglino i rapporti tra mafia e istituzioni deviate, vecchi “collaboratori” di giustizia con improvvisi ritorni di memoria rilascino dichiarazioni che estromettono dal quadro stragista ogni personaggio e/o situazione riconducibili a Barcellona Pozzo di Gotto.

Saranno coincidenze.

Salvatore Borsellino e il Movimento delle Agende Rosse

Ps. Domani 11 febbraio 2021 (giorno dell’anniversario della morte di Attilio Manca) alle ore 17,00 Angela Manca, Paolo Borrometi, Fabio Repici, Giuseppe Antoci, Luciano Armeli Iapichino, ripercorreranno la vicenda del Dottor  Attilio Manca, urologo di Barcellona Pozzo di Gotto, nel tentativo di tenere viva la memoria nella perenne ricerca di Giustizia.
Potrete seguire le dirette streaming sui canali sotto indicati:
https://www.facebook.com/groups/ass.amiciattiliomanca
https://www.facebook.com/luciano.armeli.3

[1]    Tutte le informazioni inserite in questo capoverso sono tratte dal sito “Wikipedia”, it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Borrometi. Il processo a carico di Salvatore e Gabriele Giuliano non è ancora arrivato a sentenza di primo grado, mentre per i processi a carico di Giovanni Giacchi e Venerando Lauretta si sta svolgendo l’appello.

[2]    “Minacce a Paolo Borrometi, riconosciuta la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso”, Ordine dei giornalisti, 18 giugno 2020. Si aspetta il giudizio in Cassazione.

[3]    “Insulti via social al giornalista Paolo Borrometi: condannato”, Federazione Nazionale Stampa Italiana, 18 settembre 2020. La sentenza è definitiva, dopo l’accordato patteggiamento.

[4]    Informazioni tratte dal sito “Wikipedia”, it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Borrometi. Il giudizio non è ancora definitivo.

[5]    “Nuova vittoria in tribunale per Paolo Borrometi: nessun diritto all’oblio, le notizie su Gennuso restano online”, Federazione Nazionale Stampa Italiana, 11 dicembre 2020.

[6]    “Minacciò giornalista Borrometi, Cassazione annulla sentenza assoluzione per mafia”, Gazzetta del Mezzogiorno, 5 febbraio 2021.

[7]    “Blitz antimafia in Sicilia, dagli atti emergono altre minacce a Paolo Borrometi. L’ira del boss per le inchieste giornalistiche”, Articolo21.org, 2 febbraio 2021.

[8]    “Pippo Gennuso torna all’Ars dopo il patteggiamento”, Il Giornale di Sicilia, gds.it, 30 luglio 2019.


Tratto da: 19luglio1992.com

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