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di Aaron Pettinari - Video/Foto
Alla Caserma Lungaro Polizia, familiari vittime di mafia e società civile unite nella pretesa di verità e giustizia

"Fare memoria insieme". E' questo il titolo che da anni il Siap Palermo, sindacato di Polizia, in concerto con la Questura di Palermo, dà all'evento che si celebra alla Caserma Lungaro per offrire un momento di riflessione e ricordo dedicato al sacrificio degli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli ed Emanuela Loi, fatti saltare in aria assieme al loro protetto, il giudice Paolo Borsellino.
Ancora una volta, davanti all'ufficio scorte, dove tanti "angeli" sono passati e passano centinaia e centinaia di volte per raggiungere le personalità che devono proteggere, è stato rinnovato l'impegno affinché non si dimentichi quanto avvenuto 28 anni fa e si continui a pretendere verità e giustizia su fatti che ancora oggi non la hanno.
Una richiesta che ha unito tutti i partecipanti e che vede in prima linea proprio i familiari vittime di mafia, che sulla propria pelle più di ogni altro hanno ancora addosso i segni di quegli strazianti delitti, ma anche tanti ragazzi, membri della società civile, semplici cittadini (presenti rappresentanti dell'istituto Isis Fermo Solari di Tolmezzo), rappresentanti dell'associazionismo antimafia, istituzioni e forze dell'ordine.
Perché essere "Insieme" diventa ancora più importante in tempi dove le distanze, anche a causa del Covid, si sono fatte ancora più grandi. E perché, come ha ricordato il segretario del Siap di Palermo Luigi Lombardo, organi come quello della Polizia "non appartengono ai Governi, ai ministri o ai politici, ma al popolo in quanto siamo fratelli, sorelle figli, padri, madri, uomini".
Un momento toccante che, come lo ha definito il Questore Renato Cortese, "è fuori dalla retorica" perché fatto di "riflessioni mature e sincere".
Il senso di unione è quello che ha voluto rappresentare Antonio Vullo (l'unico sopravvissuto di quella scorta nel giorno della strage di via d'Amelio) che ha ricordato la comune lotta nel fare memoria "non solo per quel giorno, ma anche per quello che abbiamo subito dopo". Un invito, il suo, affinché non vi siano distacchi o fronti disuniti, "perché da parte di tutti c'è bisogno di verità".



Le commemorazioni per la strage di via d'Amelio offrono lo spunto di riflessione su tutti i fatti impuniti che hanno attraversato la nostra Repubblica. E tra questi vi è sicuramente anche la morte di Antonino Agostino e Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto 1989. Trentuno anni dopo, il 10 settembre 2020, il Gup Alfredo Montalto sarà chiamato a decidere se rinviare a giudizio Antonino Madonia e Gaetano Scotto, accusati di essere autori del duplice omicidio e l’amico di famiglia Francesco Paolo Rizzuto per il reato di favoreggiamento aggravato. E' questa la speranza per Vincenzo Agostino e la sua famiglia perché dopo un percorso lungo 31 anni in cui ha girato l'Italia, sembra essere arrivato il momento delle risposte: "Finalmente nella magistratura e nella polizia ho trovato persone che non hanno avuto lacci e laccioli. Le stragi sono iniziate da casa mia. Mio figlio aveva giurato lealtà allo Stato e non era una mela marcia. Lui ha visto quello che ha visto e Falcone, assieme a Carla Del Ponte non saltarono allora in aria dopo l'allarme bomba che vi fu all'Addaura. Io non so se è stato per questo o per un altro motivo che fu ucciso. So solo che dopo 31 anni possiamo avere una risposta".
Quella stessa speranza che, nonostante tutto, ha anche Graziella Accetta, madre del piccolo Claudio Domino, che da anni continua a spiegare nelle scuole che "non è vero che la mafia non uccide i bambini". Con commozione e rabbia ha espresso il proprio rammarico per le scarcerazioni che ci sono state nei mesi del lockdown: "È stato come se avessero uccisi per l'ennesima volta i nostri figli. Sapere che delinquenti ed assassini sono usciti o stavano per uscire è stato terribile". Un concetto espresso anche da altri presenti.
Particolarmente toccanti e forti le parole espresse da Salvatore Borsellino, anche in risposta ad alcuni argomenti esposti ieri dal Presidente della Commissione parlamentare Claudio Fava, in un post, in cui si invitava a "seppellire i morti" e affinché le ricorrenze siano liberate "da preghiere, messe in suffragio, commemorazioni, navi della legalità".


"Questi sono giorni difficili - ha detto Borsellino - Tutti i giorni dell'anno sono difficili quando si hanno dentro delle ferite che continuano a sanguinare. E continueranno a sanguinare finché non ci saranno verità e giustizia. La aspettiamo da 28 anni, purtroppo, e ancora ne siamo lontani. Tutti i giorni bisogna lottare per averle.
E purtroppo c'è chi in maniera inopportuna in vicinanze di questa ricorrenza sparge del sale sulle ferite dicendo che dobbiamo seppellire i nostri morti. Noi i nostri morti li abbiamo seppelliti 28 anni fa. E prima di seppellirli li abbiamo dovuti ricomporre perché erano i pezzi dei nostri morti che dovevamo seppellire. I nostri morti li potrei pensare come seppelliti se fossero stati uccisi da un nemico che erano andati a combattere. I nostri morti erano soldati andati in guerra a combattere con un nemico. E se fossero stati uccisi da un nemico sarebbe stato normale che ciò potesse avvenire. Ma loro sono andati in guerra a lottare un nemico, mentre il fuoco che li ha uccisi è arrivato alle loro spalle da chi avrebbe dovuto combattere insieme a loro e invece ha preferito intavolare una scellerata trattativa con il nemico. Ed ha preferito sacrificare le vite di quei soldati per portarla avanti". Ed infine ha concluso: "Io potrò seppellire Paolo quando potrò mettere nelle sue mani una agenda rossa. Quell'agenda che aveva quel giorno e di cui non si separava mai neanche per andare a portare nostra madre dal medico. Solo allora potrò chiudere, finalmente, quella bara".
L'ultimo pensiero è stato quello del Questore, Renato Cortese, che assieme al dirigente del reparto scorte, il vice questore Filippo Calì, ha ribadito come accanto alla necessità di "chiedere verità e giustizia su quella stagione terribile" vi sia l'importanza di "ricordare i ragazzi del 1992, ma anche rendere onore a chi tutt'oggi presta servizio nel reparto, mettendo a rischio la propria vita".

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