Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Viaggi in carrozzina
di Gianfranco Falcone
Di Shobha mi hanno colpito subito forza e delicatezza degli scatti fotografici. Sembra capace di raccontare con lo stesso sguardo fermo orrore e bellezza dell’esistenza. Così dalle sue pagine può emergere la bellissima avventura umana dei ragazzi down in Storia d'amore, come il tragico strazio di Quando l’acido sfigura anche l’anima, reportage sulle donne in Bangladesh vittime di violenza.
Non ho resistito alla tentazione di intervistarla. Lei mi ha aperto il suo mondo, un mondo in cui tenta di unire il magma composito dell’esistenza. La prima domanda non poteva che essere sull’uomo, sul suo smarrimento e sulla sua meraviglia dell’esistere.

© Shobha

da Benvenuto alla Vita. © Shobha


Hai attraversato molti dolori, toccando molti estremi credi ancora nell’uomo?
Io mi reputo una persona che non giudica. Sono una traghettatrice di immagini. Nel senso che io odio i confini quindi a qualsiasi costo unisco. Passo dall’estasi, al piacere, al silenzio, alla guerra. Cioè, tutto è parte di questo teatro. Quindi non mi ci metto a dire “Ah credo più o meno all’uomo”. È così. Lo vivo, lo affronto. È una mappa geografica. Infatti, il mio ultimo lavoro che presento si chiama Geografia dell’anima. Perché sono luoghi non solo che riguardano l’estetica, o il mondo esteriore, ma interiore. Ogni luogo tocca una parte di me, del mio cuore, dei miei occhi, dei miei pensieri, dei miei organi, dei miei antenati. Quindi, non posso pensare se credo più o meno all’uomo. Io non amo il pensiero condizionato, programmato, dell’uomo. Non mi fido di quello. Io mi fido delle persone che hanno lavorato su di sé, che sono un po’ più libere. Mi fido delle persone che lavorano per deprogrammarsi. Il resto dell’umanità è programmata, omologata. Vive schiava, schiava del lavoro, schiava della famiglia, schiava, schiava.
All’inizio c’è già un pensiero di consapevolezza dietro tutto quello che ho attraversato. Perché quello che ho attraversato per me è proprio come bussare alle porte del mondo e dire in prima persona “Che accade qua?”.
Quindi è chiaro che sono passata dalla guerra ai dolori più atroci, ai momenti di estasi e di felicità. Fa parte della vita. Io credo nell’uomo nuovo, nell’essere umano nuovo. Questo sì. Ho molta fiducia. Ma non ho mai avuto fiducia nelle azioni dell’uomo in giacca e cravatta. Dell’uomo identificato con la società. A quello non ho mai creduto perché non è autentico.
Questa irrequietezza, questo non credere, deriva dall’esperienza della tua mamma, la grande fotografa Letizia Battaglia, donna sicuramente irrequieta, avventurosa, con uno sguardo divergente sulla realtà? Senti di assomigliare a lei?
Penso che ognuno è unico nella sua esperienza sulla terra, nella vita. Non so se io assomiglio a lei. Sicuramente ci sono delle cose simili. Ma non lo so. Questa è una domanda cui non ti so rispondere se assomiglio a lei o meno. Io me ne sono andata via di casa a sedici anni, poi ho fatto la mia vita, le mie esperienze. Io sono andata via perché la famiglia mi stava stretta. Andarsene era come rompere i confini. Era unire le cose più che separarle.
Io sono nata in una famiglia dove c’era la tendenza a unire, con l’arte, con la musica, con la fotografia, con la poetica, con i poveri. Mi ricordo mia madre che da ragazzina faceva questi pranzi a casa con i bambini di un orfanotrofio. Era un modo per restituire al mondo i doni ricevuti. In questo mi sento simile a lei. Però poi la vita ha fatto di lei qualche cosa d’altro. Siamo due donne distinte, ma non separate chiaramente.
Dove sei andata a 16 anni?
Sono andata Roma, poi sono andata a vivere a Milano, poi sono andata a vivere in una comunità in Toscana, poi sono andata in America, e da lì poi sono andata in India. Poi sono andata a Cuba. Sono andata ovunque. Sempre alla ricerca di esperienze, di conoscenze. Poi ho avuto vari maestri dall’arte, alla spiritualità. Una vita pienissima.
Che sia una vita pienissima si intuisce dal tuo sito dalle tue fotografie. Questa tua pienezza colpisce molto. Sei una bella donna, sei piena di esperienze, di passione. Questa è l’immagine che si ricava di te.
A parte la bella donna. Io non ho paura. Io vado avanti. Io unisco, io traghetto le immagini da una parte all’altra del mondo, dal cuore all’anima, al mondo. Unisco. Unisco le persone, unisco i pensieri. Mi piace questo modo di vivere. Non ho avuto paura. Mai.
La sensazione che si ha guardando il tuo lavoro è che tu non arretri né di fronte all’orrore né di fronte alla bellezza del mondo. Questo lo si percepisce. Hai sempre uno sguardo molto fermo.
Questo sarà anche frutto della mia ricerca sulla meditazione. Mi ricordo che quando andavo sotto le guerre un modo per salvarmi, per non essere coinvolta nel meccanico, andavo in uno stato di meditazione che è quello di rimanere centrati, di osservarsi, di osservatore. Ma ci sono anche delle cose bellissime che vivo, i lavori con i down, con le persone innocenti. Io li mi lascio andare. Perché non c’è un programma, non c’è giudizio.

© Shobha

da Io Batte Cuore. © Shobha


Quel lavoro l’ho trovato di una delicatezza infinita. Quelle fotografie parlano d’amore. Come ti sei avvicinata a quel mondo e hai deciso di far fotografare i ragazzi down?
Guarda io non sono una che pensa troppo, che programma. Le cose vengono a me. Perché io sono una persona aperta. Quindi, un giorno mi arriva una cosa e io mi apro. Sono venuti loro. Vengono loro da me a chiedermi.
Da ragazzina di diciassette anni per pagarmi la scuola, o quello che facevo quando sono andata via di casa, sono stata babysitter di un bambino autistico. Per due anni è sempre stato con me. Il padre era un direttore della rivista Le Ore di Milano. La madre non c’era e io stavo tutto il giorno con questo bambino autistico, che poi oggi lavora in Vaticano, è giardiniere. Ci siamo amati tantissimo. Da lì ho imparato il linguaggio dell’amore. Non le prime cotte che si hanno a quell’età, ma l’amore, come si può dialogare con qualcuno che è sordo muto. È più che sordomuto.
Le cose arrivano. Quando tu sei aperto arrivano. Con i down è stata la stessa associazione “I ragazzi down di Palermo” che mi ha chiamato, e mi ha chiesto se facevo un calendario con le loro facce. Ho detto no. Io queste cose non le faccio. Se volete gli faccio una scuola. Se volete facciamo una cosa insieme. Abbiamo fatto un video bellissimo. Così cambio le situazioni. Magari arrivano a me in un modo e io le modifico nella maniera che mi sembra più corretta in quel momento. Abbiamo continuato a fare mostre, e loro mi chiamano ancora. I ragazzi mi amano perché io gli ho aperto una prospettiva. Il dono più grande che puoi fare a una persona è aprirgli una prospettiva. Questa è la cosa che più mi piace. Poi io sparisco perché ho troppe cose da fare. Però, quello mi fa vivere in pace è far capire che sei un seme e che nel seme c’è già dentro l’albero, la memoria dell’albero. È far vedere alle persone che c’è già un talento, che c’è qualcosa dentro di noi.
I ragazzi hanno anche fatto delle fotografie, con cui poi tu hai realizzato una mostra?
Sì adesso le stavo lavorando per metterle nel sito. Ci vuole tempo. Non sono digitali quindi c’è tanto lavoro da fare. Hanno fatto un lavoro bellissimo. Tra l’altro quando io gli ho chiesto di fotografare il loro corpo ho detto “Ora raccontate il dentro, come siete dentro”. E molti di loro sono stati meravigliosi, si sono fotografati nudi, dentro la bocca. Il loro dentro era questo. È stato proprio un rompere i margini, un rompere i pregiudizi, i giudizi. Ancora oggi per me è stato un dono, uno dei doni più belli poter stare con loro sei mesi, molto intensi, sempre. Poi loro vengono a casa. Non ti lasciano più perché per loro tu sei la loro libertà. Li ho portati a vedere la città. Cosa che loro non conoscevano neanche. Camminavano per la città e dicevano “Ma io non la conosco”. Quando siamo andati dentro a un matrimonio per fargli vedere com’è un matrimonio, molte donne non volevano entrare e mi dicevano “Noi non ci possiamo sposare. È un sogno proibito per noi”. Quindi abbiamo dovuto lavorare anche su questo dolore. Tutto serve, la vita è complicata.
Mentre pronuncia le ultime parole ha un bellissimo sorriso, ingenuo, fresco. C’è candore in lei.

Maria Pia. © Shobha

da I Figli della Luna. Maria Pia. © Shobha


Le fotografie con i ragazzi autistici mi sono sembrate piene di dolore, di durezza, di sofferenza. È un mondo duro?
È molto duro. I genitori vivono delle cose fortissime. Molti dei ragazzi sono autolesionistici. Quindi devi sempre controllarli. I genitori con questi figli diventano anziani presto. Devono abbandonare spesso il lavoro per dedicarsi a loro. Poi ai ragazzi devi insegnare a stare nel mondo. Non è un posto ideale questa terra per loro. Perché sono discriminati. Quindi, attorno al lavoro dell’autismo io ho sentito molto dolore.
Lo si avverte.
Si sente. Ce ne era uno specialmente che veniva, io lo andavo a prendere. Guidavo il vespone me lo portavo dietro. È durato tanto, tanto tempo. Andavo a prenderlo a scuola. Sono stata con lui e ho vissuta nella famiglia qualche giorno prima di poterlo fotografare. Perché loro sono la abbastanza chiusi, quelli che ho trovato io. Poi alcuni sono invece più leggeri. Io ho trovato questi. Ed è stato… Non duro per me, figurati. Duro vedere quanta sofferenza c’è nelle famiglie soprattutto.
Cosa significa il tuo nome da dove deriva Shobha?
Shobha. Io prendo questo nome a diciassette anni. Sono stato in India e vivo in India. Mi hanno dato questo nome perché nella cultura vedica indiana o tantra sciamanica, che è quella che io seguo, lo sciamanesimo, danno il nome al bambino dopo che nasce. Devono sentire la sua energia. Devono sentire la qualità che avrà la sua vita. Quando io sono andata in India mi hanno dato il nome. È stata l'iniziazione a una maggiore consapevolezza, a un pensiero più vasto. Mi hanno dato il nome che secondo loro era la mia direzione. Shobha vuol dire luce, splendore. Vuol dire saggezza splendente. Ecco, questo è il significato del mio battesimo spirituale. Perché noi abbiamo sicuramente visibile ed invisibile che devono unirsi. E per loro il mio modo di portare il vivere sulla terra era quello di portare luce. Quindi, con la fotografia è perfetto. Io osservo. Osservando porti luce.
Invece il tuo nome all’anagrafe qual è?
Angela.
Beh. Anche Angela è un nome che rimanda comunque a una realtà ultraterrena, come gli angeli.
Io penso di essere di un’altra dimensione.
La dimensione mistica, legata a una dimensione altra che non sia quella del quotidiano è molto presente nella vita e nelle scelte di Shobha. La sua filosofia l’ha certamente aiutata a educare lo sguardo, a cogliere il palpitare della vita dietro il velo delle apparenze.
Mi piacerebbe imparare da lei a scostare il velo di Maya.
E se vero che gli incontri non sono casuali potrò soddisfare attraverso uno dei suoi workshop il desiderio che da un po’ di tempo sta diventando sempre più forte: imparare a scrivere con la luce. In ambito fotografico sono un pessimo dilettante.
Potrei scegliere tra uno dei suoi prossimi workshop. Tra l’altro effettuati tutti in posti meravigliosi.
Ma quale seguire?
Potrei seguire il workshop Sogni che diventano immagini alle isole Egadi a settembre. Shobha è animata da quella meravigliosa follia capace di trasformare i sogni in realtà. Sarebbe capace di trascinarmi sul traghetto e poi sui sentieri delle isole Egadi con la mia carrozzina e la mia tetraplegia. Forse è meglio un più tranquillo lavoro individuale a Palermo con degli Esercizi di fotografia consapevole ad ottobre. Palermo in autunno è uno spettacolo. Però anche La geografia dell’anima ai primi di settembre a Capo Milazzo non è niente male.
Ho tempo per decidere.
Intanto aspetto venerdì 24 luglio per pubblicare la seconda parte dell’intervista a Shobha. L’ascolteremo parlare del suo sguardo che tenta di unire la voce più profonda della nostra umanità con la cruda realtà, che sa di volta in volta essere pura poesia o tormento.

Da I Luoghi dell'Anima. © Shobha

da I Luoghi dell'Anima. © Shobha

Tratto da:
viaggi-in-carrozzina.blogautore.espresso.repubblica.it

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos