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di Savino Percoco
Centottantasei anni fa si consumava il primo delitto eccellente di mafia

Nel 1870, pochi anni dopo la nascita del Regno d’Italia e la conseguente presa di Roma, una gigantesca speculazione edilizia destabilizzò la Nazione, trainandola in corruttele e azioni mafiose che ne determineranno la storia.
Nella Capitale, in soli 20 anni la popolazione raddoppiò e in pochissimo tempo furono edificati migliaia di palazzi che fecero la fortuna di tanti faccendieri che attivati appalti, aperti cantieri e incassati compensi, dichiaravano fallimento, fuggendo con la cassa e lasciando nella disperazione operai, risparmiatori e acquirenti.
Erano tempi in cui solo 6 banche potevano emettere carta moneta e alcune di esse ne stamparono più della copertura in oro corrispondente, generando l’ormai noto “Scandalo della banca romana”, la madre di tutte le immoralità italiane. Coinvolse banche, 3 Presidenti del Consiglio, Ministri, parlamentari, ecc un’anteprima di Tangentopoli.
Non tutti però si adeguarono alle ingiustizie che si sarebbero propagate fino ai nostri tempi e qualcuno pagò con la vita, l’opposizione che il suo nobil cuore guidava.
Fu in questo clima che la mafia consumò il primo delitto eccellente della storia, colpendo un uomo che oggi “compie" 186 anni, Emanuele Notarbartolo.
Nato il 23 Febbraio 1934 era figlio di una famiglia aristocratica palermitana (nonno Francesco Paolo era principe di Sciara), da cui ereditò il titolo di Marchese di San Giovanni.
Nel 1859 si arruolò nella Regia Armata Sarda, aggregandosi, nel giugno 1860, ai mille di Giuseppe Garibaldi con cui combatté nella battaglia di Milazzo.
Appartenente alla destra storica, nel 1865 con le deleghe alla polizia urbana, ottenne il primo in carico amministrativo di Palermo venendo poi eletto Sindaco il 26 ottobre 1873, e restando in carica 3 anni.
Nelle vesti di primo cittadino espresse il suo etico senso civico, opponendosi alle originarie culture mafiose della Sicilia post rivoluzionaria, scaturita dai “bulli di campagna” con la coppola al contrario e debellare il fenomeno della corruzione alle dogane.
Mandato che terminò nel Febbraio 1876, quando il Governo lo nominò Direttore Generale del Banco di Sicilia, per risanare una crisi dovuta a “non performing loans”, causate da alcune assegnazioni eccesive come per la Trinacria (casa armatoriale) e della Genuardi (zolfo).
Nonostante una situazione di partenza sul lastrico del fallimento, attraverso un regime di severa austerità, Notarbartolo riuscì a riorganizzare il sistema bancario ed evitare il collasso dell'economia siciliana, ma attirando a sé l’ira di chi invece si arricchiva illegalmente.
Sarà per tale ragione che nel 1882, mentre si trovava nei suoi possedimenti a Caccamo, fu sequestrato per un breve periodo e liberato, dopo il pagamento di 50 000 lire per il riscatto.
Inoltre, l’allora Governo Depretis, gli affiancò nel Cda due personaggi ostili, tra cui il parlamentare colluso con la mafia, Raffaele Palizzolo, mandante del suo omicidio. I suoi rapporti con l’organo “politico” del Banco furono sempre molto aspri; gente di ambigua personalità e in conflitto d’interesse con altre banche o aziende private, contrariate dall’eccessiva rigidità del Direttore Generale. Notarbartolo tentò invano di intercedere con il Governo per la riforma dello Statuto, ma nel 1890, l’allora Premier Francesco Crispi, approfittando della crisi legata alla banca romana, istituì un DL che riorganizzava il sistema bancario, estromettendo dagli incarichi proprio Notarbartolo che dovette persino fare causa per il riconoscimento della pensione.
Per la cronaca, il Presidente del Consiglio, probabilmente per ottenerne il silenzio, propose all’integerrimo custode dei conti del Banco l’incarico di Prefetto di Palermo. Offerta che Notarbartolo rifiutò per non rendersi complice di un “abietto vassallaggio politico”.
Nonostante il depotenziamento istituzionale, lo spessore etico e l’autorevole onestà del Marchese di San Giovanni continuava a mietere pericolo agli interessi mafiosi e della politica corrotta. Difatti, negli anni seguenti, il Banco tornò oggetto di attività speculative come il caso del rastrellamento azionario della Navigazione Generale Italiana (“NGI”), che favorì Palizzolo. Operazione smascherata anche per merito di Notarbartolo, dalle quale scaturì un’ispezione.
Nel Gennaio 1893 l’ex Direttore espresse la volontà di testimoniare alla Commissione Parlamentare d’Inchiesta in merito alle malversazioni attorno al Banco di Sicilia, ma il 1 febbraio 1893, a 59 anni, venne assassinato sul treno tra Termini Imerese e Trabia (PA) con 27 colpi di pugnale sferrati dai sicari mafiosi, Matteo Filippello e Giuseppe Fontana.
Il processo iniziò solo nel 1898 a Milano, vedendo imputati i ferrovieri Garufi e Carollo, indicati come complici dell’omicidio.
L’8 dicembre dello stesso anno, mentre alcune voci diffondono l’ipotesi di fuga all’estero per Palizzolo, il Parlamento vota l’autorizzazione al suo arresto. In cella venne rinchiuso anche Fontana.
L’appello si celebrò invece a Bologna e si concluse nel 1902 con la condanna a 30 anni di carcere per Palizzolo e Fontana, ma nel 1903 la Cassazione ribaltò tutto per un vizio di forma.
Il processo, venne riattivato a Firenze, 10 anni dopo l’omicidio, ma il caso non era più “mediatico”, e l’attenzione pubblica scemò. Inoltre, l’unico nuovo testimone chiamato fu trovato privo di vita qualche giorno prima della deposizione. Si trattava di Filippello, l’altro presunto esecutore del delitto.
Il caso Notarbartolo fu dichiarato chiuso il 23 luglio 1904, con l’assoluzione degli imputati per insufficienza di prove.
Durante il processo si generò un “perverso orgoglio siciliano”, che portò alla fondazione di un comitato Pro-Sicilia, a difesa di Palizzolo e dell’onore della Regione e che esplose dopo la condanna di Bologna, vista come un oltraggio ed un attacco del Nord. Il Deputato rientrò in Sicilia su un piroscafo della Navigazione generale accolto in trionfo dalla popolazione.
L’omicidio di Notarbartolo è considerato il primo delitto “eccellente” di Cosa Nostra che portò per la prima volta il termine mafia nei dibattiti pubblici. I resti del banchiere sono custoditi al cimitero monumentale di Palermo, a Santa Maria di Gesù.
Ricordare Notarbartalo in occasione del suo compleanno è doveroso, per ringraziarlo e affinché il suo esempio venga ereditato dai giovani. Non va dimenticato che il banchiere, anche in virtù della sua amicizia, denunciò i suoi saperi a Napoleone Colajanni, noto per aver letto in aula la relazione dell’investigazione di Biagini sullo scandalo della banca romana.
Nonostante il Governatore dell’istituto bancario, Bernardo Tanlongo avessi confessato diversi reati, tutti gli imputati vennero assolti. Quando tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole e plausibilmente questo ha giovato Palazzolo, assolto per reggere gli equilibri del sistema.

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