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da robigreco.wordpress.com
È il 25 settembre 1988. Siamo sula SS 640, quella che da Agrigento porta a Palermo. È notte e un’auto sfreccia lungo la strada in direzione del capoluogo siciliano. A bordo ci sono Antonino Saetta e il figlio Stefano. Sono di ritorno a casa dopo una giornata trascorsa a Canicattì. Quel giorno era stato battezzato il nipote. All’improvviso, una BMW scura si affianca all’auto guidata da Antonino. I finestrini si abbassano e una pioggia di proiettili calibro 9 viene esplosa da una mitraglietta leggera. Antonino e Stefano muoiono, sulla stessa strada in cui troverà la morte due anni dopo Rosario Livatino. Ma chi è Antonino Saetta?

Antonino Saetta nasce a Canicattì il 25 ottobre 1922. Entra in magistratura nel 1948. In Piemonte prima ed in Liguria poi, dove, tra l’altro, si occupata anche di processi che avevano avuto una vasta eco su scala nazionale, come quelli relativi alle Brigate Rosse, torna nella sua terra natia, in un primo momento a Caltanissetta, dove è Presidente della Corte d’Assise d’Appello tra il 1985 ed il 1986 e, successivamente, a Palermo, in qualità di Presidente della Prima Sezione della Corte d’Assise d’Appello.

Padre di tre figli, a Caltanissetta Saetta si era occupato di alcuni rilevanti casi di mafia, tra cui quello relativo alla strage in cui era morto un altro magistrato, Rocco Chinnici, nel quale gli imputati, tra cui anche i celebri Michele “Il Papa” e Salvatore “Il Senatore” Greco, considerati esponenti apicali della mafia all’epoca, furono condannati con più aspre pene rispetto al primo grado. Fu a Palermo, però, che il giudice firmò la sentenza che avrebbe decretato la sua condanna a morte. Il magistrato si ritrovò impegnato tra i vari importanti processi di mafia che gli vennero sottoposti, a decidere in merito al caso dell’omicidio del capitano Emanuele Basile, in cui imputati erano nuovi vertici della mafia palermitana: Giuseppe Madonia, Armando Bonanno, Giuseppe Puccio.

saetta antonino stefano bigL’assassinio di Antonino Saetta fu percepito immediatamente come un delitto di eccezionale gravità: per la prima volta in Italia veniva ucciso un magistrato giudicante. Non un magistrato inquirente, naturale antagonista rispetto al reo in forza di ruolo, ma l’organo di garanzia tra accusa e difesa, che pronuncia il suo verdetto “super partes”. Chiunque amministrava giustizia ledendo interessi mafiosi, da quel momento, avrebbe potuto sentirsi in pericolo di vita. Il valore simbolico dell’omicidio fu talmente chiaro agli operatori di giustizia e alle autorità istituzionali, che ai funerali parteciparono il Capo dello Stato, ministri, segretari di partito e, soprattutto, l’intero Consiglio Superiore della Magistratura, fatto questo che mai si era verificato prima, né mai si verificò dopo in casi analoghi, neppure dopo le stragi del 1992, quelle in cui morirono, assieme alle loro scorte i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Dalle ricostruzioni, l’azione dei sicari incaricati da Cosa nostra, non fu scatenata solamente dalla volontà di “punire” il magistrato per non essersi lasciato influenzare nei processi Chinnici e Basile, bensì, ebbe un ruolo altrettanto determinante il timore che il “maxiprocesso”, giunto oramai in fase di gravame di appello, potesse essere assegnato ad un magistrato integerrimo e determinato come Antonino Saetta. Del resto, come testimonia ancora il giornalista Giovanni Bianconi, immediatamente dopo la notizia dell’assassinio, Giovanni Falcone ebbe a dire: “è un’esecuzione decretata dai corleonesi, e non averlo ucciso a Palermo è solo il tentativo di sviare l’attenzione, per provare a far pensare a qualcosa di diverso tirando in ballo le cosche locali. Ma la decisione viene da lì, e secondo me ha anche fare sia con il processo Basile che con il maxi”.

Nel 1996 sono stati condannati all’ergastolo dalla Corte di Assise di Caltanissetta i boss mafiosi Salvatore Riina, Francesco Madonia e il killer Pietro Ribisi. La condanna, confermata nei successivi gradi di giudizio, è passata in giudicato.

Lo Stato ha onorato il sacrificio di Antonino Saetta con il riconoscimento concesso dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso di cui alla legge n. 512/1999 a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo.

Tratto da: robigreco.wordpress.com

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