di Enza Galluccio
All’udienza del processo di Reggio Calabria, che si è tenuta oggi [27 giugno 2019, ndr], il pm Giuseppe Lombardo ha interrogato il testimone assistito Stefano Carmelo Serpa, collaboratore di giustizia fin dal 1979.
Nel corso della sua storia di pentito, fin dalla fine degli anni Settanta, il Serpa ha dato informazioni sull’omicidio di Alceste Campanile e sulla strage di Piazza della Loggia, interagendo con le Procure di Reggio Emilia e di Brescia in una fase in cui non aveva ancora deciso di collaborare.
Sollecitato dal pm Lombardo, racconta di aver avuto una graduale maturazione personale grazie alle sollecitazioni e al sostegno della moglie, e di aver preso la decisione di collaborare solo successivamente. Dichiara di aver iniziato a commettere piccoli reati fin da ragazzo, di essere nato e cresciuto nel posto sbagliato e nel tempo sbagliato e di non essersi mai veramente sentito né delinquente né ‘ndranghetista.
Anche per questi motivi afferma di non essere mai stato un “affiliato”, ma soltanto di aver avuto dei rapporti con la famiglia dei De Stefano e altre, anche per una serie di relazioni parentali.
Su domanda specifica il Serpa dice di aver lavorato presso un distributore di proprietà di Filippo Barreca, ‘ndranghetista incaricato dai De Stefano della protezione in latitanza dell’ex terrorista Franco Freda, appartenente al gruppo di estrema destra Ordine Nuovo.
In quel periodo, il collaboratore si sarebbe anche occupato dei trasferimenti per degli incontri avvenuti a casa di Barreca tra De Stefano, delle Chiaie e lo stesso Freda. Alcune di quelle riunioni erano state registrate dal Barreca, il quale era diffidente e non comprendeva il motivo del proprio coinvolgimento nella protezione di Freda, richiesto dai De Stefano.
A questo punto il pm ha chiesto dei chiarimenti sulle cause dei contrasti interni alla ‘Ndrangheta degli anni Settanta. Serpa ha raccontato che le principali motivazioni di quelle guerre erano legate alla nomina del capoluogo calabro. Inizialmente tutti gli uffici regionali e finanziari erano situati a Catanzaro poi furono trasferiti a Reggio Calabria, città controllata dai De Stefano che, avendo in mano la situazione, non permettevano ad altre famiglie di entrare in contatto diretto con quegli uffici regionali per curare gli “affari”. Quei rapporti con la ‘Ndrangheta erano costanti e non estemporanei.
Serpa ha poi spiegato, in modo inequivocabile, che ogni famiglia aveva la sua fetta di torta. Quella torta era molto grande, portava soldi e affari sia alla ‘Ndrangheta che ai politici. La rivolta per non trasferire quegli uffici a Catanzaro era stata guidata dagli esponenti dell’Msi Ciccio Franco e Fortunato Aloi, due tra i tanti politici che avevano rapporti con la ‘Ndrangheta.
Lombardo ha anche chiesto al collaboratore se avesse partecipato e chi fosse presente al summit di Montalto, il quale ha risposto di avervi partecipato in qualità di picciotto di giornata tramite Vincenzo Saraceno. Oltre a quest’ultimo, sarebbero stati presenti Luigi Concutelli, anch’egli terrorista nero, e altri soggetti appartenenti alla ‘Ndrangheta come i Molè, Giovanni De Stefano, Stefano Caponera, Giuseppe Zappia e Vincenzo Macrì.
Durante quella riunione, in base al racconto di Serpa, Zappia, De Stefano e Molè avevano parlato del fatto che, secondo De Stefano, c’era la necessità di nuovi alleati nella politica. Dicevano che quella gente portava un sacco di soldi e che i politici potevano disporre di armi e di tutto, inoltre, la ‘Ndrangheta per espandersi aveva necessità di molte cose e quando ci fu l’ok, Paolo De Stefano aveva fatto allontanare quattro o cinque persone, le quali erano tornate poco dopo con i politici Delle Chiaie, Fefè Zerbi, Sandro Saccucci, Valerio Borghese e Concutelli. Per Serpa quei politici, mentre erano al summit, riuscivano a far risultare la propria presenza in altri luoghi. I De Stefano avevano entrature dappertutto e anche rapporti con i servizi segreti deviati. Il collaboratore ha anche affermato di aver avuto personalmente dei contatti con uomini dei servizi fin da bambino, i quali lo utilizzavano per effettuare dei controlli e riportare informazioni. Le persone coinvolte erano soltanto alcune e non l’intero apparato dello Stato. Egli ritiene che questa relazione tra ‘Ndrangheta e servizi sia in atto da sempre e che prosegua ancora oggi.
Nel corso dell’interrogatorio ha definito quegli uomini inavvicinabili, per questo motivo smentirebbe quanto detto da altri collaboratori che vantano simili contatti.
Serpa ha poi affermato che all’interno di queste dinamiche erano presenti anche altre persone, nomi importanti dei quali non ha voluto rivelare i nomi.
Voi non conoscete ancora la parte sommersa della ‘Ndrangheta! Ha aggiunto. Questi elementi, sono stati definiti dal collaboratore anche come politici e, soprattutto, appartenenti ai servizi segreti, persone sconosciute alle procure che non hanno mai ricevuto neanche una multa […]hanno un loro comando e valgono più dei De Stefano. Serpa si è dichiarato preoccupato per le loro possibili azioni, e ha affermato di poter rivelare quei nomi solo dietro specifiche garanzie da lui stesso stabilite.
Infine, su richiesta del pm Lombardo, il pentito ha confermato le relazioni tra persone del Ministero di Grazia e Giustizia di quel tempo con le famiglie dei Molè e dei Facchineri. Queste famiglie, insieme a quelle dei Piromalli, a quel tempo avevano molti contatti e potere nella zona di Gioiatauro e dintorni. Tutti potevano essere facilmente corrotti.
Serpa ha confermato anche i rapporti tra la ‘Ndrangheta e Luciano Leggio, appartenente a cosa nostra. Egli stesso l’avrebbe incontrato in carcere, durante le sue mansioni all’interno dell’infermeria del carcere. Tutto avveniva nel 1983, e ci sarebbero stati anche degli incontri tra lo stesso Leggio e i De Stefano.
L’udienza si conclude con queste ultime affermazioni e viene rinviata al 12 luglio.
Foto © Imagoeconomica
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