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di Salvo Vitale
Xi Jinping è arrivato a Roma con un seguito di 500 persone, per la sua visita di tre giorni in Italia. La visita dovrebbe ratificare una serie di accordi commerciali definiti “via della seta”, con i quali l’import export sarà rafforzato e l’Italia, anche con capitali cinesi, attraverso la predisposizione o la sistemazione di alcune infrastrutture, come i porti di Genova, Trieste e Palermo, per l’arrivo delle navi con i container di merce cinese, che attualmente scaricano a Rotterdam.
Xi Jinping, a partire dal 2012 si è dimostrato un abile capo di stato che ha reso la Cina la prima potenza economica del mondo, allargandone i commerci e garantendo un sistema politico stabile, ispirato alle idee del comunismo cinese, già elaborate dal suo predecessore Mao Tze Tung. Ha ritenuto fuori dalla storia e controproducenti le misure di protezionismo adottate da Trump, ha predisposto un piano di investimenti per 60 miliardi di dollari per lo sviluppo dell’Africa, mentre in Europa tutti dicono degli africani in fuga “aiutamoli nei loro paesi”, ma nessuno alza un dito per aiutarli.
In pratica quello che l’Italia può offrire al continuo dilagare di prodotti cinesi usa e getta è la qualità delle sue firme, del made in Italy, dei suoi prodotti, anche se, pure in questo campo gran parte dei nostri marchi sono stati acquistati da ditte estere e in molti casi i prodotti cinesi arrivano in Europa e miracolosamente diventano europei. Di fatto i Cinesi hanno da tempo capito che il consumismo mondiale ha bisogno di prodotti usa e getta, che i costi di produzione e di lavoro non sono compatibili con chi ha scelto il profitto a tutti i costi e non ha voglia di socializzare la propria ricchezza con nessuno e sono in grado di soddisfare queste richieste contando sulle grandi quantità che possano dare una risposta ai bisogni immediati.
A volere tornare 50 anni fa, già nel ’68 c’era chi diceva “La Cina è vicina”, “Berranno i cavalli mongoli alle fontane di Roma?”, se non vogliamo retrodatarci al “pericolo giallo” di mussoliniana memoria. Ma allora c’erano forti tensioni ideali, era il tempo di scelte estremistiche, di forte coscienza antifascista e c’era una gran voglia di prendere le distanze rispetto al PCI succube di Mosca. La “rivoluzione culturale cinese” spacciata in occidente come un’ondata di violenze, era una lettura della storia, delle sue strutture e sovrastrutture come prodotti delle classi dominanti del proprio tempo, come momenti di una dialettica in continuo fermento. In fondo poteva sembrare violenza quella di mandare il sindaco di Pechino a pulire gabinetti, ma questo era il modo per potere fargli rendere conto delle condizioni di un’umanità su cui pretendeva di dare ordini.
Oggi c’è chi, a forza di sperare e credere che le ideologie sono morte, e con esse la sinistra, non si rende conto che la sua è un’ideologia di conservazione e che nel mondo, almeno tre miliardi di persone vanno avanti attraverso variopinte e soggettive interpretazioni del tanto vituperato comunismo.
Con un’avvertenza: come altre ideologie, non morte, ma vive e vegete, dal cristianesimo all’Islamismo, il comunismo puro non esiste. Chi ci crede ne fa una religione dimenticando che la teoria e la prassi si intrecciano e si rigenerano e non sono immutabili. Forse c’è stato un solo vero comunista, Marx, così come, dice Nietzsche, “C’è stato un solo vero cristiano ed è morto sulla croce”.

Foto © Imagoeconomica

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