di Francesca Scoleri
Un altro 11 febbraio è trascorso e di riapertura di indagini sulla morte di Attilio Manca, non si parla. Diversi i comunicati sulla vicenda da parte di membri dell’esecutivo ma l’impressione è che si rivolgano ad altri nell’invocare la “ricerca della verità” e non a se stessi pur avendo tutti gli strumenti necessari per far riaprire il caso iniziando con l’audizione dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
Il contrasto alla mafia è e rimane lo snodo principale per la riaffermazione dello Stato di diritto in questo Paese violato dalla presenza di Cosa nostra fin dentro al Parlamento e questa è storia non sono fantasie di chi scrive.
Lo afferma la sentenza sul processo trattativa Stato mafia emessa nell’aprile dello scorso anno che nel condannare, fra gli altri uomini delle istituzioni, l’ex Senatore Marcello Dell’Utri, dice: “Ha fatto da cinghia di trasmissione tra le richieste di Cosa nostra e l’allora governo Berlusconi che si era da poco insediato”.
E prima ancora, lo ha affermato un’altra sentenza direttamente dalla Corte di Cassazione che su Giulio Andreotti, per 7 volte Presidente del Consiglio, si esprime cosi: “I fatti che la Corte ha ritenuto provati in relazione al periodo precedente la primavera ’80 dicono che il sen. Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha quindi coltivato, a sua volta, amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non cessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi...”.
Conclude affermando che la condotta di Andreotti indica “…una vera e propria partecipazione all’associazione mafiosa apprezzabilmente protrattasi nel tempo.”
Gente affidabile dunque - Andreotti e Berlusconi - per Cosa nostra. Del secondo peraltro, neo vincitore delle elezioni in Abruzzo accanto ad un membro dell’attuale governo, sappiamo, grazie alle recenti sentenze, che dava soldi ai corleonesi stragisti per mantener fede ad accordi remoti nel tempo (risalgono agli anni '70), “anche da premier, anche dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio”.
Noi veniamo da questo. La nostra storia passa da questi fatti accertati e dalla grave colpa che gran parte degli organi di stampa ha nei confronti dei cittadini proseguendo, ancora oggi a dispetto della sentenza e delle sue motivazioni, sulla via dell’omissione. Una colpa pagata a buon prezzo con ogni evidenza.
Cosa c’entra la storia di Attilio Manca con le sentenze sopra citate?
La fitta rete di protezione di cui ha goduto Cosa nostra sotto i precedenti governi è sin qui dimostrata; si parla spesso di vertici della cupola mafiosa, ma ora, grazie alle sentenze emesse a Roma e Palermo, sappiamo che c’era un vertice anche nella cupola mafiosa istituzionale con poteri illimitati che si muoveva con estrema facilità anche grazie, non dimentichiamolo mai, alla “morbidezza” dell’informazione pronta a zittire sospetti e perplessità.
Lo abbiamo constatato verificando le proposte contenute nel papello di Totò Riina che sono diventate oggetto di discussione proprio sui banchi del Parlamento.
Gli esponenti di Cosa nostra davano tanto in termini di voti, controllo del territorio, favori di ogni genere ma pretendevano tanto e la protezione di uomini di spicco come Riina e Provenzano era prioritaria. Prova ne è il numero di anni che questi mafiosi hanno trascorso in libertà seppur ufficialmente latitanti.
La latitanza di Provenzano è durata ben 43 anni durante i quali è persino riuscito a raggiungere la Francia per farsi operare ad un tumore, durante i quali si recava a Roma a trovare amici come Vito Ciancimino la cui casa era controllata da telecamere installate dalle forze dell’ordine, durante i quali entrava ed usciva da edifici pubblici a Palermo e in tutta la Sicilia e allora diciamolo con estrema franchezza, Provenzano non era ricercato, Provenzano era “protetto”.
Attilio Manca, giovanissimo urologo di elevate capacità che gli sono valse il titolo di “luminare” è entrato in relazione con Provenzano prima come strumento di aiuto per salvargli la vita durante la grave malattia e poi come minaccia in quanto, forse aveva capito chi era quell’uomo misterioso che familiari vicini alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, avevano messo sulla sua strada.
La presidente della Commissione Giustizia Giulia Sarti, ieri ha ricordato le testimonianze di ben quattro pentiti che hanno raccontato nelle aule di tribunale, in processi a Cosa nostra, come Attilio Manca non sarebbe morto suicida - conclusione della procura di Viterbo - ma vi sono racconti dettagliati su come il giovane sia stato ucciso con l’intervento dei Servizi segreti, protagonisti di tante vicende misteriose nel nostro Paese.
Anche il Presidente della Camera Roberto Fico ha ricordato Attilio e questa è indubbiamente una cosa inedita rispetto ai governi passati ma sia chiaro che non può bastare. Non è un sufficiente motivo di discontinuità soprattutto alla luce della sentenza che il processo trattativa ci ha consegnato.
La parte di governo che non va a braccetto con il finanziatore dei corleonesi con sede ad Arcore, dovrebbe rimarcare le motivazioni di quella sentenza e renderle fondamento di una riapertura di indagini sul caso Manca. In realtà sarebbe un’apertura netta visto che i giudici di Viterbo che hanno messo il sigillo sul suicidio per “inoculazione volontaria di stupefacenti”, non hanno mai fatto alcuna indagine degna di questo nome.
Hanno semplicemente avvalorato un’autopsia che faceva acqua da tutte le parti sia a livello medico che giuridico in quanto, nessun rappresentante della famiglia Manca è stato informato dell’esame e alcuni fondamentali passaggi medici, mancano all’appello. I giudici di Viterbo, hanno ignorato le testimonianze di chi condivideva la quotidianità con Attilio i quali hanno sempre sostenuto l’impossibilità del suicidio e della tossicodipendenza e allo stesso tempo, hanno considerato attendibili le testimonianze a favore della teoria della tossicodipendenza, da parte di pregiudicati per reati di mafia.
Sempre i giudici di Viterbo, sono stati i primi a dichiarare pubblicamente, dell’interessamento alla vicenda dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante una conferenza stampa che fa orrore e che avrebbe dovuto indurre ad interventi disciplinari da parte del CSM; il procuratore Pazienti cosi si esprimeva: “Allora to ‘o devo proprio dì? So’ du anni che dico a lui (Petroselli) senti va mpò ‘n carcere e chiedi a Provenzano: sei stato tu?”.
Alla domanda: “E quelle tracce di sabbia nell’appartamento, quegli attrezzi rotti, il parquet danneggiato?” (scenario inconsueto per un suicidio), il Procuratore Pazienti risponde: “Ma che ve devo dì, che devo penzà? Ma io ho guardato al cranio del ragazzo, no ai pesi, al parquet. Ma pure se viene a casa mia, magari trova tracce de fango, ma che vor dì, che l’hanno ammazzato in Costa Azzurra e poi l’hanno portato a Viterbo? Ma per favore. Bisogna rassegnasse: questa è ‘na morte per droga, non de mafia, ma quale mafia…”.
E veniamo all’affermazione su Napolitano: “Aooo’ io sto a Viterbo da quattro anni, so’ arrivato nel bel mezzo di questa faccenda. La prima cosa che ho trovato sulla mia scrivania è stata la richiesta da parte della segreteria del Gabinetto del Capo dello Stato, che voleva chiarimenti in merito a questa vicenda. Ovviamente, sollecitato dal Capo dello Stato, mi sono attivato subito. Ma che me volete di’...”.
Ad oggi, nessuno conosce il perché di quella che appare come una vera e propria ingerenza in un caso che, al momento dell’interessamento dimostrato da Napolitano, era alle battute iniziali e di cui si sapeva molto poco. La commissione antimafia può chiedere che Napolitano si rechi in audizione a rispondere a questa domanda priva di risposta da ben 15 anni?
Può darsi che risponda come in occasione della sua deposizione per il processo trattativa, “Pensate che abbia la memoria di Pico della Mirandola?” ma una spiegazione per quella richiesta giunta all’interno della procura di Viterbo per suo conto, dovrà pur fornirla.
La famiglia di Attilio, anche ieri, con grande forza, nonostante il muro di omertà davanti al quale conducono tutte le ricerche, si è riunita in un momento commemorativo di Attilio chiedendo ancora indagini, verità, giustizia. Le stesse cose che chiediamo noi perchè il Paese comprenda che dietro la morte di questo ragazzo, troveremo sicuramente molti tasselli sin qui mancanti alla ricostruzione di fatti inspiegabili.
Sulle orme di Pasolini, “Io so ma non ho le prove...”.
Tratto da: themisemetis.com
Foto © Imagoeconomica/Famiglia Manca
Info: attiliomanca.it