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aula bunker c shobhadi Vincenzo Musacchio*
Era il 1979, chi scrive aveva undici anni, a Palermo il giudice Rocco Chinnici divenne capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale. Una svolta storica nella lotta alla mafia poiché è con lui che nasce il “pool antimafia”. Fu quest’alto magistrato a volere accanto a se’ i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ideò e avviò per primo le indagini e le misure di prevenzione patrimoniali, come strumento fondamentale di contrasto alle mafie. Era fermamente convinto dell’importanza del coinvolgimento sociale, impegnandosi con incontri e dibattiti finalizzati a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sui temi della lotta alla mafia, coinvolgendo in particolare i giovani. Al pool antimafia si devono le intuizioni sulle connessioni della mafia con l’alta finanza, la politica e l’imprenditoria. Fu l’epoca di nuove strategie investigative, fondate sulla strettissima collaborazione fra i magistrati che svolgevano le indagini sul fenomeno mafioso. Alla sua morte Chinnici fu sostituito degnamente da Antonino Caponnetto che credette e rafforzò il pool antimafia composto da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Grazie a questa squadra si giunse all'istruzione del maxiprocesso a Cosa Nostra nell'aula bunker dell'Ucciardone, iniziato il 10 febbraio del 1986: 350 udienze; 1315 interrogatori; 635 arringhe difensive; 200 avvocati difensori; 475 imputati; 2665 gli anni di carcere inflitti. Fu il trionfo dello Stato: la mafia per la prima volta nella storia d’Italia fu messa in ginocchio. Un enorme e scrupoloso lavoro d’indagine, quello condotto dal pool di magistrati, cui è seguito un altrettanto valido impegno dei giudici, uno per tutti il presidente Alfonso Giordano. Tutto questo non può e non deve essere dimenticato, soprattutto, dalle nuove generazioni. Sono trascorsi trentatré anni dall'inizio del processo. Che cosa è successo in Italia da allora? La mafia siciliana ha subito nuovi contraccolpi dopo essere stata messa in ginocchio? I risultati, per quel che riguarda il maxiprocesso in senso stretto, furono eccellenti. La sentenza è stata confermata anche negli altri due gradi di giudizio. Si è trattato, quindi, di un processo costruito con arguzia e perizia, con riscontri certi, con prove oggettive e con un risultato raggiunto: mettere, per la prima volta, Cosa Nostra in ginocchio. Il maxiprocesso ha dimostrato che lo Stato, con un buon lavoro d’indagine e di costruzione processuale, può battere tutte le mafie. Finito il maxiprocesso, purtroppo, il clima è cambiato e il grande sostegno, anche di opinione pubblica, nei confronti dei magistrati è scomparso lentamente. Il Paese si è distratto, nel 1992, c'è stato il periodo delle grandi stragi di mafia e con l'inizio di Tangentopoli l’attenzione dell’opinione pubblica si sposta in altri contesti. Dopo la famosa “primavera di Palermo” tramontano le grandi reazioni sociali. Le stragi di Capaci e Via D’Amelio produrranno una risposta dello Stato alla mafia abbastanza imponente, che purtroppo durò pochissimo dando solo l’illusione di poter continuare sulle tracce del vecchio pool diretto da Caponnetto. La lotta alla mafia, nel tempo, passa in secondo piano. Ancor oggi il maxiprocesso resta uno dei pochissimi straordinari atti di giustizia e di trionfo della legge sul crimine organizzato. Non dimentichiamo e non lasciamo disperdere quel patrimonio inestimabile che ancor è di esempio in tutto il mondo.

*Presidente dell’Osservatorio Antimafia del Molise

Foto © Shobha

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