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niceta storedi Comitato dei Cittadini per Angelo Niceta
È in stadio molto avanzato una campagna - evidentissima ed al contempo finora quasi totalmente ignorata dai media - per realizzare gli stessi punti peculiari al centro della trattativa Stato-mafia. Obiettivo privilegiato, oltre al 41 bis, è lo svuotamento della Rognoni-La Torre nei suoi caratteri peculiari che ne qualificano da sempre l’efficacia: l’inversione dell’onere della prova, la natura autonoma dell’accertamento patrimoniale rispetto al procedimento penale e il diverso rilievo che assumono nel primo gli indizi, la centralità del sequestro preventivo e delle interdittive antimafia. La Rognoni-La Torre, come hanno sempre dichiarato i magistrati più competenti e credibili, è uno strumento fondamentale che, qualora dovesse essere oggetto di modifica, andrebbe semmai esteso e reso più efficace, considerato il fenomeno, ormai assodato, della finanziarizzazione delle mafie, che al tradizionale metodo mafioso fondato sull’atto intimidatorio stanno progressivamente sostituendo un sistema assai più complesso fondato sul potere dei soldi e la centralità degli affari, della corruzione, degli scambi, del conseguente controllo dell’informazione e di interi pezzi di apparati istituzionali, società ed economia “collusi”. Proprio per questo assume una particolare rilevanza l’impugnazione da parte della Procura di Palermo del decreto di primo grado delle misure di prevenzione che lo scorso 4 ottobre (presidente Raffaele Malizia) ha deciso il dissequestro dei beni ai fratelli Massimo, Olimpia e Piero Niceta, negando l’attualità della loro “pericolosità sociale”. La Procura con il suo atto d'appello ha chiesto la revoca del dissequestro e ha ribadito la pericolosità sociale attuale dei proposti. Un decreto, quello impugnato, che, pur riconoscendo in modo inequivocabile l’"attendibilità" e la "genuinità" dell’apporto del Testimone di Giustizia Angelo Niceta, così come alcuni fatti storici, dalla pericolosità sociale dell’"imprenditore mafioso" Mario Niceta alla contiguità anche recente dei Niceta con la famiglia Guttadauro, e fatti indubbiamente rilevanti come la presenza al matrimonio di Massimo Niceta di Maria Guttadauro e Francesco Guttadauro (figlio di Giuseppe Guttadauro), non poteva non suscitare fortissime perplessità sia rispetto all’applicazione della legge Rognoni-La Torre sia rispetto al procedimento logico che in essa è svolto. Aspetti messi in rilievo dall’atto di impugnazione della Procura di Palermo, di cui riprendiamo per sottolinearli alcuni decisivi passaggi. Ricordiamo anzitutto che la stessa procura di Palermo ha svolto le serie ed approfondite indagini su cui si basano i sequestri preventivi a carico dei Niceta disposti nel dicembre nel 2013 su proposta dei magistrati della DDA, che non sono quindi opera “autonoma” della Saguto, come sta sostenendo la vulgata diffusa dalla disinformazione interessata. La Procura nell’impugnazione rileva in primo luogo come il decreto emesso dal Tribunale per le Misure di Prevenzione di Palermo sia caratterizzato da un’“insanabile contraddizione tra i principi di diritto e le conclusioni”: per un verso ne sottolinea il carattere “paradossale”, per altro verso il carattere “irragionevole”. La Rognoni-La Torre, infatti, autonoma e distinta dal processo penale, non prevede l’assoluzione per “insufficienza di prove”, invece una soglia di prova avente una ratio diversa da quella penale per arrivare alla confisca dei beni e alla valutazione della pericolosità sociale. Il decreto di primo grado, se per un verso parla di “contiguità dei Niceta” con i Guttadauro, protrattasi fino a tempi recenti, delimita le condotte “illecite” riferibili ai Niceta a determinati periodi temporali, giungendo alla conclusione della “non attualità” della pericolosità sociale dei fratelli Niceta, motivata anche sulla scorta della asserita mancanza della prova di condotte attuali che possano essere considerate “funzionali agli scopi del sodalizio”. A tale proposito viene citata dal Collegio delle Misure di Prevenzione la sentenza della Cassazione n. 111 del 2018 relativa alla fattispecie della “contiguità o vicinanza al gruppo che non sia riconducibile ad un’azione”.La Procura contesta tale passaggio, osservando che tale sentenza non è riferibile alla situazione dei Niceta in un processo di prevenzione, in cui, stando al diritto e alla prassi giuridica fin qui consolidata, non è necessario dimostrare l’esistenza di un contributo specifico del proposto (cioè del soggetto sottoposto a procedimento di prevenzione) in favore dell’associazione mafiosa. Com’è possibile, del resto, per contesti di mafia, riconoscerne la sussistenza storica ma limitare temporalmente le condotte illecite a determinati periodi temporali ed escluderle per altri? Se così fosse, fa notare la Procura di Palermo, “verrebbe abrogato l'intero sistema delle misure di prevenzione”. Inoltre, se anche gli stessi giudici parlano di “appoggio, protezione, intermediazione che i Niceta hanno continuato a cercare e chiedere anche in tempi recenti” a mafiosi della statura di Giuseppe e Filippo Guttadauro - scrive ancora la Procura nell’impugnazione - “come può considerarsi mera contiguità la condotta di chi chiede appoggi, protezione e intermediazione a pericolosissimi esponenti mafiosi?”. Altro punto presente nel decreto che non può non suscitare legittimi interrogativi, e che è infatti tra quelli su cui si fonda l’impugnazione della Procura di Palermo, è la distinzione temporale tra il periodo in cui Mario Niceta è stato un “imprenditore mafioso” e uno successivo “pulito” dello stesso. Secondo la Procura, invece, proprio il rapporto con l’associazione mafiosa costituirebbe il “vizio genetico alla base del successo imprenditoriale di Mario Niceta e dei suoi figli”. “Mario Niceta - scrive la Procura - almeno fino al 2007 ebbe un ruolo decisivo nell'apertura dei punti vendita nel centro commerciale Belicittà per avere stretto accordi con Filippo Guttadauro, per avere partecipato a un incontro con Giuseppe grigoli, titolare del centro commerciale, imprenditore mafioso e prestanome di Messina Denaro”. Questa circostanza, secondo la procura, sarebbe ulteriore indice di una “comunione condivisione di regole e di riconoscimento dell'autorità di soggetti intranei al sodalizio mafioso”. Ancora, sottolinea la Procura, nel decreto vi è una sottovalutazione del fondamentale contributo testimoniale di Angelo Niceta, che si è aggiunto agli elementi su cui originariamente si basava il sequestro - intercettazioni, indizi, accertamenti patrimoniali, le dichiarazioni dei Collaboratori di Giustizia Angelo Siino e Tullio Cannella - che confermano il quadro ma aggiungono anche ulteriori gravi elementi. Nel decreto della Prima Sezione del Tribunale di Palermo, invece, argomenta la Procura, benché vengano ritenute “credibili” le dichiarazioni di Angelo Niceta, queste “non sono state adeguatamente valorizzate dal primo giudice”, bensì considerate alla stregua di un “mero spunto investigativo”. Un ulteriore punto che desta altrettanto legittime perplessità è che i giudici delle Misure di Prevenzione abbiano ritenuto motivo di “preclusione” il fatto che parte importante del materiale probatorio fosse già stata vagliata in altri procedimenti - nell’inchiesta penale per intestazione fittizia archiviata e soprattutto nel decreto della Corte d’Appello di Palermo del 17 luglio 2018, avente valore di giudicato, che ha deciso la restituzione della “tranche” trapanese del sequestro. “La preclusione sbagliata - scrive la Procura - ha impedito di valutare che il processo riguardava un periodo più ampio, che investiva anche le attuali attività dei Niceta”. La sentenza della Corte d’Appello di Palermo del 17 luglio 2017 - su cui è stata fatta molta disinformazione ed è stata in alcuni casi riportata in modo non aderente al vero - pur escludendo l'ipotesi di intestazione fittizia, confermava tuttavia l'esistenza di “un vero e proprio rapporto societario definito di reciproca collaborazione fondato sugli accordi a suo tempo conclusi da Filippo Guttadauro e Mario Niceta e proseguito con profitto dai rispettivi figli”. La conclusione della Procura, a nostro avviso molto più logica e coerente con la normativa esistente, la Rognoni-La Torre appunto, è che vi sarebbero tuttora “profili di allarmante pericolosità sociale che si sono estesi all'intero percorso esistenziale dei proposti e la confisca si sarebbe dovuta estendere all'intero patrimonio aziendale e personale senza necessità di effettuare alcuna perimetrazione temporale”. Una certezza intanto l’abbiamo: questa vicenda, che volutamente si sta tendendo a sottovalutare oppure a manipolare nonostante i fatti e i soggetti coinvolti, nel contesto di costante pressione mediatica, attacco alla normativa e ai magistrati, funzionali ad una strategia ben più ampia, porta in sé una posta in gioco ben più ampia di quanto si cerca di far percepire: l’autonomia del potere giudiziario e la sua credibilità, la difesa di una delle più importanti normative antimafia, la solidità dello Stato di Diritto.

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