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imposimato ferdinando via damelio 2017 c emanuele di stefanodi Enza Galluccio
Paolo Borsellino è stato in grado di unire la saggezza all’umiltà” con queste parole prese da Antonino Caponnetto, l’ex magistrato e Presidente onorario aggiunto della Suprema Corte di Cassazione, Ferdinando Imposimato, ha aperto il suo acceso intervento, che ha lasciato impietrito il pubblico, soprattutto chi conosce meglio i fatti e continua a ricercare le risposte ancora mancanti.

Imposimato conobbe Falcone e Borsellino fin dal 1980 perché come loro si era interessato a Michele Sindona, il banchiere che si occupava di trasferire soldi illeciti in porti sicuri anche per conto della Chiesa, tanto da essere definito “il banchiere di Dio”.

In quegli anni, a Roma, Imposimato indagava su Sindona perché aveva organizzato un falso sequestro per apparire vittima delle Brigate Rosse, mentre Falcone e Borsellino, a Palermo, lo indagavano per altri delitti di stampo mafioso. Dall’intrecciarsi di queste indagini era nata l’idea di costituire un super pool, che aveva permesso a molti magistrati che si occupavano di mafia di incontrarsi ogni mese in diverse città d’Italia, per coordinare e rendere più efficace l’azione della magistratura contro la criminalità organizzata. La capacità d’indagine, quindi, si era moltiplicata grazie allo scambio d’informazioni e d’idee. Per Imposimato, tutto ciò aveva creato una grande preoccupazione da parte dei politici.

Scalfaro, “che prendeva cento milioni al mese dai servizi segreti” e “aveva promesso di fare la legge sui pentiti, che poi non ha fatto”, si era dovuto comunque confrontare con l’esplosione del pentitismo che ormai dilagava. Tommaso Buscetta aveva cominciato a parlare, denunciando accordi tra mafiosi, imprenditori e politici; anche questo era fonte di grande preoccupazione, soprattutto per quella politica coinvolta nel malaffare.

E così… erano cominciati i primi delitti, a partire da Boris Giuliano, ucciso per le sue indagini su Sindona, il primo di una lunga serie.

A questo punto dell’intervento è scattata l’inevitabile domanda “chi ha voluto la morte di Falcone e Borsellino?”. Per il Presidente onorario la risposta c’è già ed è nei documenti.

I due magistrati avevano indirizzato le proprie indagini su un’organizzazione sovversiva mondiale pericolosissima. “Io non sono pazzo!” ha esclamato Imposimato, specificando che quell’organizzazione si chiamava Gladio, Stay-behind.

Queste informazioni sarebbero state anche dentro i diari di Falcone. In quelle pagine, fin dal 1990, si legge che Falcone aveva capito che Gladio era implicata negli omicidi di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre.

Secondo quanto appreso da Caponnetto, il Giudice ne aveva parlato con il procuratore Giammanco per convincerlo a seguire questa pista, sulla base della richiesta degli avvocati di parte civile, ma non aveva ottenuto risultati. Anche Caponnetto aveva ricevuto quelle richieste da Falcone e Borsellino, ma non era voluto intervenire perché Gladio era una struttura “potentissima” e, secondo Imposimato, ha le responsabilità di quasi tutti gli omicidi politico-mafiosi italiani.

Nell’intervento del 25 giugno in memoria di Falcone, Paolo Borsellino aveva detto di aver saputo, dall’amico e magistrato appena ucciso, delle cose che avrebbe riferito soltanto nelle sedi opportune. A quel tempo, il procuratore di Caltanissetta con l’incarico di indagare sulla strage di Capaci era Salvatore Celesti.

In quell’occasione, Borsellino aveva anche detto un’altra cosa importante, che il contenuto del diario di Falcone, da poco reso pubblico, corrispondeva alla verità.

Con quelle parole il Giudice non si riferiva alle indagini sugli appalti come, secondo Imposimato, si vorrebbe far credere, ma piuttosto a quelle sull’organizzazione eversiva Gladio, dichiarata illegittima anche dalla Commissione Stragi.

Tale organizzazione era guidata dalla Cia che controllava anche i Servizi italiani e si era servita di questi, oltre che della mafia e dei terroristi, per compiere tutte le stragi italiane da Portella della Ginestra in poi. Per Imposimato, come ha riportato anche in un suo libro, queste stragi fanno parte di una strategia della tensione a livello mondiale.

Vi erano e vi sono, dunque, collegamenti tra la Cia, la massoneria e una parte del Vaticano per “condizionare lo sviluppo della democrazia in Italia”.

Il presidente Imposimato ha specificato di aver potuto ricostruite la storia della loggia massonica grazie ad un documento del 1967, che fa parte della requisitoria del pm Alessandrini.

Quando Borsellino disse che il contenuto del diario di Falcone, pubblicato allora da Liliana Milella su “Il Sole 24 ore”, era vero, creò le cause per la sua immediata uccisione, ne accelerò i tempi.

“Questo non significa che la mafia non c’entra”, ha continuato Imposimato, precisando che tutti i nomi indicati da Spatuzza sono realmente coinvolti nella strage di via d’Amelio, così come lo sono i servizi segreti al servizio della Cia “definita in questo documento (come) un mostro incontrollabile”. Essa disponeva di 500 milioni di dollari all’anno e con questi “corrompeva chiunque; corrompeva uomini politici, e corrompeva i sindacati, e corrompeva la maggioranza e l’opposizione”.

Secondo quest’analisi, la Cia ha controllato il nostro Paese attraverso una penetrazione capillare, disponendo di una propria base nella Gladio, situata in Sardegna.

Anche Vito Ciancimino era un gladiatore e, in quest’organizzazione, era coinvolto persino Totò Riina.

Secondo uno studio fatto da una tesista, di cui Imposimato era relatore, Riina sarebbe stato un uomo della Cia. Quest’aspetto era stato confermato anche dalle parole di Badalamenti.

Poi, il Presidente onorario ha dichiarato, alzando il tono della voce, “Moro è stato vittima di un complotto politico infame della Gladio” e ha proseguito “purtroppo erano implicati anche qui i servizi che sapevano dov’era la prigione e non hanno liberato Aldo Moro, è una vergogna!”.

“Finché ci sono uomini come Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, noi abbiamo la possibilità di andare avanti seguendo la strada giusta”, ha detto ancora Imposimato, aggiungendo un’ulteriore drammatica informazione: in via Sicilia a Roma c’erano gli uffici della Gladio, della Cia, dell’OSS e addirittura della P2, uno accanto all’altro. Enti che si sarebbero dovuti combattere tra loro mentre, invece, erano complementari e avevano l’unico scopo di condizionare il nostro Paese, eliminando gli emblemi della legalità come Borsellino e Falcone.

Tinebra, Celesti e tutti gli altri “erano dei mascalzoni”. Per Imposimato, è necessario avere il coraggio di denunciare il Csm quando sbaglia e affida le nomine a magistrati subalterni al potere politico; negli uffici devono esserci dei “magistrati che hanno fatto i magistrati, non persone che sono state al ministero”.

Questo lungo e sconvolgente intervento del presidente Imposimato si chiude con parole di speranza, sostegno ed esempio per i giovani.
Via d’Amelio applaude, ma molti volti sono segnati, e non solo dalla stanchezza.

Foto © Emanuele Di Stefano

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