Quando lezioni di tolleranza giungevano dalle “tenebre” del Medioevo
di Luciano Armeli Iapichino
Colonizzazione. Sembra questa la minaccia che di questi tempi incombe alle porte dell’Europa mediterranea, sorretta dal sibilo di un asfissiante scirocco che soffia dall’area subsahariana. Una colonizzazione di ritorno che, pare, sembra ritorcersi col vessillo della vendetta su un continente, oltre che vecchio, sempre più dilaniato dagli egoismi economici, dalla mannaia terroristica, da “giustificati” o, forse, incomprensibili e imperdonabili pregiudizi che riportano le lancette della civiltà a qualche secolo fa.
E tanto più le navi delle ONG umanitarie approdano sulle coste siciliane con i volti tutti uguali della disperazione, quanto più muri di “intolleranza psicologica” si ergono nella mente di un’opinione pubblica sempre più disorientata.
È il concetto di tolleranza a subire per primo, oggi, i colpi e i contraccolpi spietati della paura, dell’indifferenza, dell’orrore e della presa d‘atto di un tangibile senso di abbandono da parte di una comunità internazionale che se da un lato ha incoraggiato, anche e soprattutto per tornaconto geopolitico, fallimentari primavere arabe con la destituzione di satrapi sanguinari, dall’altro ha innescato quella che sembra un’incontenibile bomba migratoria, trincerandosi, poi, dietro l’egoismo della tutela dei confini nazionali.
E questa è storia contemporanea!
Del resto, mantenere il globo in pace sembra essere oggi, per le invisibili logiche dell’Occidente, più costoso che tenerlo in guerra con focolai sparsi un po’ ovunque.
A essere sempre gravida è la fabbrica degli armamenti e della loro veicolazione.
Eppure, volgendo lo sguardo a un remoto passato, in quel “tenebroso” Medioevo, la tolleranza e il buon senso sono stati delle armi utilizzate al pari delle scimitarre e dei vessilli crociati anche da parte dei musulmani. Dalle cronache medievali sopraggiungono, infatti, episodi di grande indulgenza o aneddoti di fraterna riconoscenza tra musulmani e cristiani in un‘epoca dominata dall’urlo della guerra santa da un lato, dalla jihad dall’altro.
Montecassino IX secolo: il capo di mercenari musulmani, Massar, risparmia il monastero già devastato dai suoi predecessori e non infierisce, tra l’altro, su un’Isernia appena distrutta dal terremoto.
Salerno: il principe della città, Guaiferio, regala nella piazza principale il suo turbante al musulmano Arrane che, a sua volta, ricambierà il nobile gesto avvisandolo dell’imminente arrivo di una flotta saracena proveniente dall’Africa per assalire Salerno. (Marco Meschini, a cura di, Mediterraneo medievale, V&P Ed. 2001).
E ancora. Michele di Figline, in viaggio per la Terra Santa nel 1489, riferisce non solo di situazioni difficili ma anche di episodi di amicizia con i locali, di convivenze religiose e di momenti d’inaspettata ospitalità. (M. Montesano, Da Figline a Gerusalemme, Viella 2010).
Piccoli gesti, chicchi di sabbia, certo, che sopraggiungono dalla clessidra del tempo e dal periodo in cui folli contadine e cavalieri d’Europa muovevano alla volta dell’Asia Minore per liberare la tomba di Cristo e che oggi, dinanzi alla massiccia ondata di migranti, a nulla servono nella ricomposizione di una razionale e serena riflessione in termini di solidarietà. Proprio a nulla! Certo!
Come la fraterna amicizia, figlia delle Crociate, del moro Azeem, interpretato dal secolare Morgan Freman, con Robin di Locksley, immortalata dagli Studios nella pellicola Robin Hood principe dei ladri.
E sì! Il nulla! Lo scontro di civiltà appare irrimediabile al pari dell’evidente fallimento dell’evangelizzazione imposta dal consumismo occidentale. L’irrazionale, l’incosciente o consapevole pianificazione del disinteresse europeo alla voce migrantes, cui si aggiunge la mortificazione della lezione del passato, porterà, oltre i barconi, anche il transatlantico Europa in acque mortifere o, più correttamente, negli abissi della devastazione. Perché, senza allusioni apocalittiche, è difficile attendere orizzonti più rosei in uno scacchiere internazionale – e il recente G7 a Taormina lo ha ampiamente dimostrato – in cui i potenti hanno soltanto soffiato il loro naso nei brandelli del fazzoletto della politica di squadra; in cui, in quello interno tutto nostrano, la classe politica ha definitivamente frantumato l’idea di condivisione delle classi sociali per un interesse comune e condiviso; e in quello tutto individualista in cui il disorientamento calato dall’alto ci ha reso tutti lupi contro altri lupi:
dalle grandi città alle periferie.
Come si può accogliere l’altro in difficoltà, condividere i valori della fratellanza, se oramai la guerra santa incombe nei quartieri, nelle circoscrizioni, nelle piazze e al vicino di casa si pongono le spalle? Come si può orientare l’altro se il porto d’approdo è già minato nelle fondamenta e tutti si ergono a capitani e meteorologi che indicano rotte burrascose e venti contrapposti? Se poi il valore di humanitas è soggiogato da quello di business allora, Leopardi docet, “all’apparir del vero, tu – la speranza – misera, cadesti. E con la mano la fredda morte ed una tomba ignuda mostravi da lontano.”
Per dirla con Edgar Morin, la nostra è una condizione di agonia, sospesi come siamo tra possibilità di rinascita e vigilia di distruzione. Soltanto la presa di coscienza di una comunanza terrestre entro un mondo concepito come Terra-Patria, in cui si pensi in termini di collettività e interdipendenza, può aiutarci a uscire dall’impasse non solo mediterranea ma anche da quella che sta costruendo mattone dopo mattone, giorno dopo giorno, muri planetari.
A volte, le soluzioni sono molto più semplici e a portata di mano: magari nei libri di storia medievale, sulla rotta per Gerusalemme e nel dono di un turbante.
O semplicemente nell’umiltà di comprendere che l’immortalità non è una prerogativa umana, né che gli affetti negati o rubati siano un’esclusiva dell’Occidente e che il terrore, di matrice islamica, devasta anche i nostri più autentici valori.
In foto: una rappresentazione della partenza di Luigi IX per la Crociata (miniatura medievale) ed Edgar Morin