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suicidate attilio mancada varesenews.it - Video
Mentre a Varese si presentava il libro "Suicidate Attilio Manca" scritto da Lorenzo Baldo a Legnano, poche ore dopo, veniva bruciata la targa dedicata all'eroe dei "Cento passi"

«Ci sono molte affinità tra le storie di Peppino Impastato e Attilio Manca: erano entrambi giovani, erano autorevoli e per questo sono stati martirizzati dalla mafia». Umberto Colombo, segretario provinciale della Cgil, non poteva sapere che di lì a poco qualche scellerato avrebbe dato fuoco alla targa con cui il Comune di Legnano voleva intitolare proprio a Peppino Impastato il  giardino situato all’incrocio tra le vie Risorgimento e Pasteur. Eppure gran parte del suo intervento, durante la presentazione alla Biblioteca civica di Varese del libro “Suicidate Attilio Manca“ (Inprimatur), scritto dal giornalista Lorenzo Baldo, era incentrato sulla presenza mafiosa nel “profondo” nord, in particolare nell’area a ridosso di Malpensa. «Sono soprattutto i settori dei servizi e delle costruzioni – ha sottolineato il sindacalista – quelli che risentono delle infiltrazioni della criminalità organizzata. Di contro sono 85 i beni sequestrati alle mafie e destinati a usi civici, segno che il territorio nel tempo qualche anticorpo lo ha prodotto».

LO STRAZIO DELLE FAMIGLIE
Le storie di Manca e Impastato hanno un altro punto in comune: sono le rispettive madri il motore infaticabile nella ricerca di verità e giustizia per far luce sulla morte dei loro amati figli. Nel caso di Attilio Manca, la tenacia di Angelina è stata determinante per far riaprire il caso a tredici anni di distanza dal ritrovamento del cadavere del giovane urologo nel suo appartamento di Viterbo. «Nessuno merita tanto strazio, tantomeno queste madri coraggio che lottano per avere la verità – spiega Baldo -. Attilio Manca aveva di fronte un mostro enorme e questo è uno dei motivi per cui la sua morte ancora oggi è uno dei grandi misteri di questo Paese. Prove che scompaiono, tabulati telefonici che non si trovano, una perizia fatta male, un’inerzia giudiziaria. Questi elementi ci dicono che non si vuole trovare la verità. La domanda potrebbe trovare la sua risposta nel patto tra Stato e mafia. Questo libro nasce da una consapevolezza di fondo: io so ma non ho le prove. Per la verità su Attilio c’è ancora tempo e spero che ci sia anche per i suoi genitori, ma occorre sostenerli firmando la petizione su Antimafia Duemila».



LA MAFIA HA PAURA DELL’AUTOREVOLEZZA
Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila, ha pochi dubbi: «Attilio Manca è stato ucciso perché era un luminare autorevole e la sua testimonianza sull’accordo Stato-mafia sarebbe stata difficilmente confutabile. La sua morte è la dimostrazione che la mafia vede più lontano di chiunque altro perché da lì a poco quel giovane medico, già considerato un talento cristallino dai suoi mentori e dalla comunità medica italiana, sarebbe diventato un grande personaggio del mondo scientifico e conseguentemente un testimone più che scomodo».
A molti la provincia di Messina, se si parla di mafia, dice ben poco. Nell’immaginario collettivo sono Palermo e Catania i capisaldi di Cosa Nostra. «Barcellona Pozzo di Gotto, paese di cui era originario Attilio Manca – spiega Bongiovanni – in questa vicenda gioca un ruolo fondamentale perché è considerata la Corleone del 21mo secolo, un crocevia di  latitanti, punto di incontro di più mafie ed espressione di un sistema criminale integrato».

LA MAFIA NEL PROFONDO NORD
«La storia di questo paese dimostra che la mafia è una realtà che non è fatta solo di azioni criminali, ma anche di relazioni con il territorio e con le istituzioni». Giorgio Saporiti, segretario provinciale del Silp Cgil, commenta così la tragica storia di Attilio Manca, ricordando come un antidoto notevole alla mafia è rappresentato proprio dal sindacato. «È ormai provato – ha detto Saporiti – che dove c’è una cultura sindacale consolidata e il rispetto dei diritti dei lavoratori la mafia fa più fatica ad attecchire. La natura di questa forte contrapposizione è stata documentata da uno studio dell’università di Milano-Bicocca secondo cui dai settori dove entra la mafia esce il sindacato, mentre al contrario nei settori dove il sindacato è più forte, è ridotta la capacità di penetrazione delle mafie».

Tratto da: varesenews.it

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