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cucchi ilaria sfondo stefanodi Davide de Bari
“La faticosa conquista della verità” è il titolo dell’incontro svoltosi venerdì 17 marzo, presso la biblioteca civica “R. Spezioli”, promosso dal Tavolo della legalità, insieme di associazioni, enti comunali, regionali e scuole, per la settimana della Costituzione. Dopo i vari saluti istituzionali si è affrontata la tragica storia di Stefano Cucchi, raccontata dalla sorella Ilaria e dall'avvocato Fabio Anselmi, che nei processi ha rappresentato la famiglia Cucchi, costituitasi parte civile.
I fatti risalgono alla sera del 15 ottobre 2009 in cui Stefano Cucchi venne tratto in arresto dai Carabinieri, successivamente al ritrovamento di sostanze stupefacenti. I militari dell’Arma perquisirono l’abitazione del giovane, cercando ulteriori dosi in possesso dello stesso, ma non avendo alcun riscontro positivo. In seguito Stefano fu condotto in caserma, in cella di sicurezza, processato il giorno dopo per direttissima, nonostante le gravi lesioni tangibili sul suo viso e occhi, la fatica nel camminare e parlare, il giudice gli confermò l’arresto. Passati i primi giorni in carcere, la situazione degenerò e Stefano morì il 22 ottobre 2009 all'Ospedale Sandro Pertini, con un peso di solo 37 chilogrammi. Il processo per accertare la morte del giovane, come ha precisato la sorella Ilaria: “È stato un percorso lungo cinque anni, tutto volto a voler far intendere che in fondo Stefano se l’era cercata, che il responsabile di quella morte era il morto stesso, cioé mio fratello e il processo è stato fatto a lui”.

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Un caso che fin dall'inizio vedeva all'orizzonte l’archiviazione ma che, grazie alla determinazione di Ilaria Cucchi e alla sua lotta si è giunti invece ad una svolta importante della vicenda. Per smuovere il silenzio dormiente delle Istituzioni, la famiglia Cucchi decise di esporre alla stampa la tragica foto del volto di Stefano senza vita. Sebbene questo significasse un'ulteriore violenza alla memoria ed esporsi ad attacchi mediatici, fu una scelta necessaria per raggiungere la giusta attenzione dell’opinione pubblica. La svolta secondo la sorella di Stefano Cucchi, avvenne nel momento in cui la Corte d’appello di Roma assolse tutti gli imputati per insufficienza di prove, sentenza annullata dalla Corte di cassazione, perché c’era bisogno di nuove indagini. Fu così che nel 2015 la procura di Roma avviò le nuove indagini, che hanno portato a chiedere nel gennaio 2017, il rinvio a giudizio dei cinque carabinieri di cui tre accusati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità.
Un percorso arduo e complesso, colmo di insidie e indifferenza, messa in atto anche da parte di coloro che avrebbero dovuto accertare immediatamente i fatti che vedono coinvolti alcuni rappresentati delle forze dell’ordine. Sono molte in Italia le storie, come il caso di Stefano Cucchi, di ingiustizia irrisolte, poiché nel nostro paese la giustizia spesso si raggiunge solo con l’eroismo di singoli cittadini, non di rado abbandonati dallo Stato. Uno Stato che si basa su valori di eguaglianza, ma in cui sostanzialmente la legge non è uguale per tutti, perché spesso a favore degli stati più abbienti della nostra società, dove gli ultimi difficilmente riescono ad ottenere giustizia quando sono vittime di soprusi o illegalità, come dimostrano molti casi simili a quello di Stefano Cucchi. L’unica arma che si può impugnare, è rendere pubblica la vicenda, per cercare di smuovere il velo di maya, subendo ulteriore violenza da parte di chi vuole difendere il sistema di privilegi. Quale potrebbe essere la cura a un sistema di disuguaglianze, in uno Stato di ingiustizie? Molto spesso chi è testimone o vittima in primo luogo, oltre a lottare per il riconoscimento della verità per la propria storia, non si esime da contribuire a lottare per una società nuova più giusta. Alla quale Ilaria Cucchi auspica, ben consapevole che solo una rivoluzione culturale e il contrasto continuo all'illegalità, può rompere il muro delle ingiustizie e del non rispetto dei valori etici e morali.

Foto al centro © Ansa

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