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manca attilio 1di Sandra Rizza
Dopo 13 anni - Rimane un mistero la morte del medico che avrebbe operato Provenzano in Francia
La trasferta a Marsiglia per curare il boss Bernardo Provenzano? “Mere supposizioni”. Il movente del patto tra Cosa nostra e lo Stato? “Ipotesi fantasiose”. Se a Roma la Direzione distrettuale antimafia di Giuseppe Pignatone ha aperto un nuovo fascicolo ipotizzando che dietro il mistero dell’uccisione di Attilio Manca ci sia una feroce esecuzione mafiosa, a Viterbo il procuratore Paolo Auriemma conclude la sua requisitoria sostenendo che l’urologo siciliano era un “tossicodipendente occasionale” e che il suo decesso, avvenuto l’ 11 febbraio 2004, è dovuto esclusivamente “all’assunzione di un mix di tranquillanti ed eroina”.

Per questo motivo il pm ha chiesto la condanna a 4 anni e mezzo per l’unica imputata Monica Mileti, accusata di aver passato la droga a Manca. “È incredibile –ha concluso Auriemma – che, dopo tanti anni, alle spalle di questo processo si continui ad ipotizzare un viaggio di Manca in Francia che non è documentato. Sono solo congetture”.

A soli cento chilometri da Piazzale Clodio a Roma, dove il procuratore aggiunto Michele Prestipino torna a scavare sul caso Manca incrociando la pista della trattativa Stato-mafia, si avvia così a conclusione quello che i familiari di Attilio Manca hanno sempre definito un “processo-farsa” e che è scaturito da un’inchiesta della procura viterbese bollata dagli avvocati di parte civile Fabio Repici e Antonio Ingroia come “lacunosa ai limiti del depistaggio”: il dibattimento su una presunta cessione di droga che spiegherebbe la fine dell’urologo siciliano come un banale caso di overdose.

Strabismo giudiziario, insomma, tra province confinanti: sul caso Manca la verità processuale cammina su due binari paralleli che non si incontrano mai. Anche dopo che il collaboratore Giuseppe Campo, mafioso del Messinese, ha raccontato di essere stato contattato nel 2003 per uccidere Attilio Manca, “l’urologo che aveva curato Provenzano”. Nel lungo verbale, ora sui tavoli della Procura antimafia di Roma, il pentito racconta che il medico alla fine fu ucciso da altri “nella sua casa a Viterbo”, dopo che per assistere il boss “se lo erano portato fino in Francia”.

La famiglia Manca da sempre sostiene che Attilio è stato assassinato per coprire la latitanza del padrino corleonese: nel 2003, infatti, Provenzano si recò a Marsiglia per sottoporsi ad un’operazione alla prostata, la stessa che Manca praticava nell’ospedale Belcolle di Viterbo. In quel periodo, Angela Gentile, la madre del medico siciliano, riferisce di aver ricevuto una telefonata di Attilio dalla Francia: “Sono in Costa Azzurra- avrebbe detto l’urologo – per un intervento”. Anche Ingroia è convinto che l’uccisione di Manca sia stata voluta “dalla cintura di sicurezza che proteggeva la latitanza di Provenzano, garante dell’accordo Stato-mafia”.

Negli ultimi anni, altri tre collaboratori hanno descritto la morte di Manca come un delitto mafioso: Giuseppe Setola (che poi ritrattò), Stefano Lo Verso e Carmelo D’Amico, che attribuì l’omicidio ad “un ufficiale dei servizi”, spiegando che il medico “aveva curato Provenzano”. Nel processo di Viterbo, dove il giudice Silvia Mattei il 29 marzo emetterà la sentenza, tutto questo non è mai entrato. In aula la famiglia Manca non è stata ammessa come parte civile e nemmeno l’avvocato Valerio Mazzatosta, difensore della Mileti, ha mai citato quei pentiti che pure sembrano scagionare la sua assistita. “Da Viterbo non mi aspetto più nulla – ha commentato la madre di Attilio – la montagna di menzogne è così grande che non possono più demolirla”.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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