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discarica rifiuti c wikipedia commonsdi Alessio Di Florio
Quattordici arresti, sette in carcere e sette ai domiciliari, sequestro preventivo di sei imprese valutate almeno 50 milioni di euro, traffico di rifiuti, tra cui il polverino Ilva di Taranto. Sono questi i numeri e i fatti principali dell’inchiesta rifiuti in Sicilia coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania.

A gestire tutto un imprenditore, considerato dagli inquirenti presunto prestanome di un boss della mafia. Traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, usura, corruzione, falso in atto pubblico e traffico di influenze illecite, questi i reati contestati. Enormi guadagni sono stati ricavati da gestione e trattamento irregolare di tonnellate di rifiuti di varia provenienza. Coinvolti anche funzionari della Regione Sicilia deputati al rilascio delle autorizzazioni. Durissimo, infatti, il governatore Rosario Crocetta: “non faremo sconti, i funzionari saranno sospesi nelle more della procedura di licenziamento.

L’imprenditore coinvolto è Nino Paratore, arrestato insieme al figlio Carmelo, proprietario della Cisma Ambiente. Avrebbe agito come prestanome di Maurizio Zuccaro, esponente della famiglia Santapaola. Secondo la Procura l’attività di smaltimento dei rifiuti sarebbe avvenuta corrompendo funzionari regionali, che avrebbero permesso di duplicare i volumi dello smaltimento. L’inchiesta è partita nel 2009 a seguito di una indagine del Nucleo ecologico dei Carabinieri di Firenze sui rifiuti provenienti dall’area di Priolo. Gli inquirenti hanno riscontrato, la gestione illecita di tonnellate do rifiuti derivanti dal processo di raffinazione del petrolio. Nel corso dell’attività investigativa sono emersi prestiti a tasso di usura ed è stata contestata l’estorsione per “condotte violente ed intimidatorie” finalizzate alla richiesta di restituzione del prestito. Non solo: la discarica di Melilli non avrebbe rispettato autorizzazioni e norme e la capienza dei centri di smaltimento sarebbe stata raddoppiata. I funzionari regionali Gianfranco Cannova e Mauro Verace – unitamente al dirigente del Comune di Melilli, Salvatore Salafia, sono accusati di non essersi attivati nonostante informati di quel che stava succedendo nel sito. Le procedure di spostamento dei materiali sarebbero avvenute “senza il rispetto delle norme di sicurezza” e le sostanze sottoposte a un procedimento di “miscelazione per ottenere una modificazione del codice ed essere così smistati e incenerite in altri stabilimenti.” L’incenerimento avveniva alla Gespi di Augusta con un “procedimento – riporta la Procura – effettuato con non poco danno dei lavoratori che sono venuti da noi per raccontare i loro problemi di salute connessi all’esposizione, ma che procurava guadagni enormi ai responsabili.

Non solo rifiuti siciliani
I rifiuti smaltiti sono arrivati da varie parti d’Italia. Da Taranto è giunto il polverino dell’Ilva. Un approdo già contestato nei mesi scorsi da ambientalisti e cittadini. Don Palmiro Prisutti – il parroco di Augusta in prima linea nella difesa dell’ambiente -, Legambiente Augusta, il Comitato No Muos-No Sigonella, la Confederazione Cobas di Siracusa, insieme ad altre organizzazioni, nel novembre scorso hanno promosso una petizione per chiedere “al ministro dell’Ambiente il blocco immediato del traffico di rifiuti dall’Ilva verso la Sicilia.” Già ad aprile del 2015, 9 mila tonnellate di polverino Ilva erano approdate al porto di Augusta per essere smaltite dalla discarica Cisma di Melilli. Un anno e mezzo dopo, la ripetizione con regolarità e intensità (da giugno a dicembre 2016 oltre 30 mila tonnellate sono arrivate in Sicilia) ha provocato la protesta ambientalista. Una protesta, specificarono, non legata ad egoismi locali e aperta alla collaborazione e al sostegno delle lotte tarantine. Auspicio realizzato nella fortissima collaborazione nata tra il Comitato Stop Veleni e l’associazione ecopacifista tarantina Peacelink. Il 19 dicembre 2016, il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, comunicò la sospensione degli arrivi a Catania dopo che, nei giorni precedenti, la protesta era sfociata in un blocco dei camion da parte di manifestanti. In quell’occasione, ha come sottolineato nelle scorse settimane dal Comitato Stop Veleni, “i manifestanti poterono verificare le assurde condizioni in cui stava avvenendo il trasporto: il carico di scorie era coperto malamente solo da un telone, mentre sulle sponde delle fiancate e del retro c’erano cumuli di polverino nero, che fuoriusciva dal cassone. Con un risultato inevitabile: il disperdersi di parte delle polveri lungo il tragitto che separa il porto di Catania dalla discarica di Melilli; e prima ancora sulla nave e nelle strade pugliesi interessate dal passaggio dei camion.

Peacelink ha sottolineato di recente che, in realtà, oltre al polverino in Sicilia sono arrivati anche fango di acciaieria e di altoforno, classificati tutti come “speciali non pericolosi” e contenenti – da una prima lettura delle analisi chimiche effettuata dall’associazione – notevoli quantità di piombo, zinco, bario, arsenico, mercurio, nichel, cromo, vanadio, idrocarburi totali, oli minerali, naftalene, solfati, cloruri.

Tratto da: terredifrontiera.info

Foto © Wikipedia Commons

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