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pasolini massacro di un poetadi Raffaella Fanelli*
"Era controllato e i suoi movimenti intercettati": intervista all'autrice del libro inchiesta Pasolini Massacro di un Poeta che riferisce dell'identità di altri due possibili testimoni

«Pasolini era molto preoccupato...si sentiva minacciato. Perseguitato». Un testimone spunta a 41 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini, lo scrittore ucciso a Ostia il 2 novembre del 1975. In una memoria presentata in procura a Roma dall'avvocato Stefano Maccioni, legale di un cugino del poeta, si ribalta una presunta verità riportata negli anni  e raccontata da Pino Pelosi, il 17enne condannato in Cassazione a 9 anni e 10 mesi di carcere (nel 1979) per l'omicidio. «Era tranquillo, abbiamo cenato e poi ci siamo appartati». Ma di tranquillo quella sera non c'era niente.

«La nuova testimonianza raccolta dall'avvocato Maccioni è quella del giornalista Angelo Tajani», dice Simona Zecchi autrice di Pasolini, massacro di un Poeta (Ponte alle Grazie). «Tajani riferisce che Pasolini era molto preoccupato e rivela di una intervista che il regista gli avrebbe rilasciato il giorno prima a Stoccolma dove Pasolini si trovava per la presentazione dell'edizione svedese de Le Ceneri di Gramsci. Il giorno successivo alla morte del poeta Tajani mandò in redazione un articolo in cui raccontava di quella cena, della preoccupazione e delle minacce di cui aveva parlato Pasolini. Ma il pezzo non fu pubblicato».

Cosa c'è da capire di più in torno a quelle minacce? Nel tuo libro hai riferito anche di minacce telefoniche.
«Sì ho scritto di minacce perché è ciò che aveva riferito nel 2010 all'Ansa l'attrice Ines Pellegrini, protagonista di due pellicole girate da Pasolini. Quelle minacce erano legate, secondo quanto da me ricostruito, a due fatti avvenuti fra l'agosto e l'ottobre del 1975: il furto delle bobine  di salò per cui Pasolini subì un ricatto-trappola e un attentato alla centrale Sip di Viale Shakespeare all'Eur del 13 ottobre 1975, vicino all'abitazione di Pasolini. Migliaia di utenze rimasero disabilitate rimasero disabilitate per alcuni  giorni e ripristinate in gran parte dopo la morte dello scrittore (il 3 novembre, ndsz). Ma a Pasolini, come riferisce lui stesso sia alla Pellegrini che ai giornalisti del settimanale del Corriere, era stato dato un numero di cortesia che pochi conoscevano».
Prosegue:«Infatti molti, tra cui la Fallaci e Gideon Bachman (regista e fotografo amico ello scrittore) cercarono inutilmente di contattarlo per ragioni lavorative ma senza successo. Però in quei giorni, come ha riferito Sergio Citti (il regista ndsz) lungo gli anni, Pasolini si era messo d'accordo telefonicamente con i suoi ricattatori per rientrare in possesso di quelle bobine, la cui importanza per il regista è stata confermata sia dal montatore del film, Ugo De Rossi, sia da altri testimoni smontando la questione della copia dei nastri che il cugino di Pasolini, Nico Naldini, aveva riportato in un verbale. Quel girato era un originale di cui non possedevano una copia. Infatti il regista divette girare un'altra scena per il finale. Per questo il film fu poi concluso e presentato a Parigi prima che in Italia.

Che ruolo aveva la Sip in quegli anni?
Esiste un ruolo ben specifico di una parte interna alla Sip rivestita in quegli anni. tanto è vero che nel 1991 gli si è dato il nome in Commissione parlamentare stragi di "Sip Parallela". Secondo il deputato Luigi Cipriani, ma anche secondo il magistrato Claudio Nunziata che aveva avviato un'inchiesta al riguardo si trattava di una struttura occulta interna alla società teelfonica partecipata Sip in cui si effettuavano intercettazioni non autorizzate. A conclusioni delle indagini svolte da Nunziata nel 1977 furono rinvenuti elenchi di utenze intercettate per 36 mesi (il 1975 dunque rientra come anno) e questi elenchi comprendevano molte personalità tra cui anche politici e giornalisti. Non dimentichiamo che il giorno della strage di Via Fani e del rapimento di Aldo Moro poi nel 1978 c'è stato un altro episodio legato a questa Sip (il blackout ndsz).

Hai ricostruito come hanno ammazzato Pasolini e hai mostrato la presenza di un'altra auto dello stesso modello di quella dello scrittore, spiegando come molte tracce si siano potute cancellare. Ma poi hai anche indicato un altro movente. Può essere collegato a questi episodi di minaccia?
«La questione del movente è infatti nevralgica e allo stesso tempo spettacolarizzata come se quello che emerge non fosse già abbastanza terribile di suo e complesso. Per questo è necessario collegare tutti i pezzi e non solo quelli che vanno in un'unica direzione. E' esistito un importante carteggio fra Pasolini e Giovanni Ventura che ho pubblicato per la prima volta dopo 40 anni dall morte. Ventura era rimasto coinvolto nella stretagia della tensione, fu condannato insieme a Franco Freda negli attentati ai treni prima di Piazza Fontana e per questa strage rimase 5 anni in carcere preventivo. Fra il 2 marzo e il 19 ottobre 1975 Pasolini e Ventura si scambiano delle lettere di cui grazie al libro è nota una parte interessante».

Cosa si scrivevano due uomini così distanti fra loro?
«Pasolini negli ultimi articoli "corsari" attaccava incessantemente la DC e chiedeva  che i suoi rappresentanti più alti fossero processati - lo ripete anche nella conversazione con la Domenica delCorriere: "Hanno rovinato la coscienza del nostro paese". (Proprio con la Domenica doveva partecipare a un incontro, una tavola rotonda al suo rientro da Stoccolma e a un loro inviato aveva riferito  di essere minacciato, il settimanale lo riferisce dopo la morte, l'inviato ancora vivo oggi era Francesco Saverio Alonzo ndsz). Ventura risponde a quelle che sembrano delel domande incalzanti di Pasolini e fa dei nomi politici dietro le stragi. Fu Dario Bellezza, collaboratore di Pasolini, a riferire nel 1995 che il poeta aveva ricevuto dei documenti compromettenti relativi alla DC.
Prosegue:«E Ventura nelle lettere, oltre a molte altre cose scrive che stava per inviargli qualcosa. Ventura - ed è ormai certo, uscì su la Repubblica nel 2016 un documento che lo conferma - è stato uan fonte dell'allora nostro servizio di sicurezza (il Sid) e in quei 5 anni di carcerazione preventiva unica nel suo genere tentava di rifarsi una verginità di sinistra coinvolgendo molti intellettuali e politici tramite le sue corrispondenze dal carcere. Era controllato e i suoi movimenti intercettati. Tutto questo è dimostrato da documenti lettere, carte giudiziarie e fonti ufficiali nel mio libro che può essere aggiunto a quanto si sta nuovamente raccogliendo e al quadro più generale gà delineato in altre inchieste, se  si ha in mente la ricerca della verità dei fatti e il loro collegamento. Altrimenti si fa  lo stesso "errore"  fatto durante l'appello e va da sé in Cassazione dell'unico processo svolto: si valutano gli indizi singolarmente e si ottiene un quadro monco. Sono parole del giudice a latere del processo di primo grado non mie, Pino Salmé, che in una intervista anni fa riferì proprio questo.



"Nella notte fra il 1 e il 2 novembre di oltre 41 anni fa, veniva massacrato alle porte di Roma (Ostia) lo scrittore poeta e regista Pier Paolo Pasolini. Una morte, che sin dal primo e unico processo, risoltosi con la sola colpevolezza dell'ex ragazzo di vita, Giuseppe Pelos,i nei tre gradi di giudizio e in Cassazione fino al 1979, non ha mai smesso di far discutere e indagare. Un processo, dunque, e 4 indagini preliminari da parte della magistratura che non sono riuscite a far luce sulle modalità e il movente che hanno spinto - non solo Pelosi- a perpetrare una violenza selvaggia allo scrittore, al buio in un posto isolato vicino al mare laziale, l'Idroscalo. Le ultime indagini sono quelle dal respiro più lungo: si sono aperte nel 2010 e sono state archiviate dal Gip Maria Agrimi della Procura di Roma a maggio del 2015. Questa volta però molte sono state le cose svelate e approfondite dal Ros della Capitale compresi nuovi testimoni e nuovi indizi, 7 faldoni, 5 anni di ricerche. Seppure, secondo il magistrato titolare della inchiesta Francesco Minisci, e la procura tutta non sufficienti a formalizzare una nuova inchiesta ufficiale. Nel frattempo in procura sono arrivate altre segnalazioni nuove testimonianze che potrebbero riaprire la partita. Il corpo di Pasolini parla ancora."

Fonte: il settimanale STOP del 21 febbraio 2017

* Giornalista e scrittrice, autrice del libro Intervista a Cosa Nostra

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